Quattro uomini e tanta determinazione. Quel loro amico deve essere condotto da Gesù a tutti i costi. Probabilmente le hanno provate davvero tutte, a giudicare dall’ostinazione che li guida e che, nondimeno, non li fa retrocedere neppure dinanzi a una folla che impedisce l’accesso verso la casa dove si trova Gesù. Altri avrebbero più verosimilmente rinunciato e ripiegato sui propri passi. La determinazione che li abita fornisce loro immaginazione e audacia: nessun problema, il lettuccio si farà strada dal tetto.
Tutta da apprendere, in questi nostri “giorni cattivi” la sfida che i quattro uomini del vangelo ingaggiano contro ogni forma di status quo e se è necessario aprire porte dove non ci sono e dove non se ne intravedono, non sarà affatto un problema. Mi incanta e mi appassiona questa loro sfida e questa loro corsa. Abitati da altro visto che sono capaci di inventare strade dove non sembrano essercene e dove nessun altro ha segnato un possibile percorso. Aprirò anche nel deserto una strada: così aveva profetizzato l’antico profeta (Is 43,19). Quegli uomini compiono la profezia: scoperchiarono il tetto…
Per incontrare Gesù, per non perdere l’occasione di incrociare il suo sguardo e di ascoltare la sua Parola, – io aggiungerei: per sperimentare il nuovo, per uscire dal consueto e dall’ovvio, per non ritrovarsi a vivere ripiegati – è necessario creare un varco nelle nostre sicurezze come nelle nostre abitudini. Va smantellato “il tetto protettivo dei nostri pregiudizi”. Va aperta “una breccia tra le travi del soffitto del nostro modo di vedere e concepire le cose”. Anche nella Chiesa!
Tutti si fermano alla porta, fanno ressa, senza alcun successo. I quattro non si rifanno al modo di agire di tutti, osano spinti da un serio confronto con il reale: quella situazione chiede altro, non è possibile affrontarla con le risposte di sempre. Interessante notare che non è un singolo a osare ma una comunità, per quanto piccola. La forza per vincere pregiudizi, abitudini, tradizioni senza rilevanza sta nell’esperienza di una comunità, nel reciproco sostegno, nell’alimentare a vicenda la speranza di farcela e di riuscire in una impresa che a tutta prima appare ardua, proprio come appariva quella folla e quella casa dinanzi ai quattro uomini del vangelo.
Quei quattro sono figura della comunità cristiana, comunità che apre varchi e non chiude passaggi, comunità che scruta guardando oltre e pertanto scoperchia tetti. Quei quattro non compiono ciò che fanno anzitutto per loro: gli sta a cuore il fratello, l’amico. Se ne sentono custodi. E quel loro agire spinti da amore per l’altro genera fede.
Vista la loro fede… Non finirà mai di stupire questa brevissima annotazione. Nella loro determinazione Gesù riconosce la fede, la loro fede, non quella del paralitico. A portare quell’uomo, infatti, non era tanto un lettuccio ma la fede di quei quattro amici. Lui, semplicemente si lascia portare.
C’è anche – annota il vangelo – chi non si lascia affatto scoperchiare. Di fronte alla novità di Gesù non univoca la risposta. C’è sempre lo scriba di turno – che sta là seduto (postura interessante, non irrilevante!) che nel vedere la vita rifiorire non sa fare altro che sentenziare: costui bestemmia! Chiuso è lo spazio del suo cuore, angusto, gretto. E si sa la mancanza di spazio che ha il suo inizio nel cuore non può non finire nella vita, nel fuori. Per questo Gesù non opera immediatamente la guarigione fisica: c’è altro da sciogliere prima.
Se per la forza della determinazione e della fede i tetti diventano porte, per la forza della chiusura e della grettezza le porte possono diventare muri invalicabili.
Posto dinanzi a Gesù, solo parole di accoglienza: figlio… è questa la parola che guarisce perché è parola che ridona fiducia mentre esprime un legame. Gesù ha fiducia in quell’uomo: non importa il suo passato e tantomeno il suo futuro.
Ti sono perdonati i tuoi peccati… la sua condizione ricordava un probabile peccato commesso da lui o da qualcuno dei suoi. Quella condizione attestava una colpevolezza. E lui si era rassegnato finendo per sentirsi colpevole davvero. Quella parola di perdono gli consente di prendere in mano la sua vita prima ancora che il suo lettuccio.
Ora può camminare da solo. Può prendere in mano la sua vita e ricominciare daccapo con le proprie gambe, facendosi carico di altri paralitici.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM