Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di giovedì 6 Gennaio 2022

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«EPIFANIA DEL SIGNORE» C

Mt 2,1-12; Isaia 60,1-6; Salmo 71; Efesini 3,2-3a-6 (leggi 3,1-7)

«Fratelli, dal momento che anche noi, fra i pagani, siamo venuti alla conoscenza della vera luce, imitiamo i magi. Recatisi dal Signore, l’hanno venerato come Dio. Facciamo lo stesso anche noi: respingendo i falsi idoli dei pagani, veneriamo e serviamo lui solo. Non è più una stella che ci conduce a lui, ma la predicazione della vera fede che, per grazia di Dio, risplende nei nostri cuori come una stella. Vi esorto dunque, fratelli, ad abbandonare il culto degli idoli e ad accostarvi alla luce nuova della fede».

(Massimo di Torino, omelia 20)

L’epifania, col suo fascino misterioso, è il coronamento gioioso di tutto il tempo natalizio. Una grande luce si sprigiona da questa solennità a diradare le dense tenebre che coprono la terra: una luce che proviene da un bambino che è il Figlio dell’eterno Padre, il messia degli israeliti, il Dio dei pagani e, di fronte ad Erode, il re delle genti.

Secondo la meravigliosa pedagogia divina, il messaggio di natale viene annunciato attraverso segni adatti a ciascuno: ai pastori attraverso una mangiatoia, ai magi attraverso una stella, ai teologi attraverso la Scrittura, ad Erode stesso attraverso tre saggi venuti dall’oriente. Questi pagani rimangono per noi la figura dell’immensa moltitudine umana, sradicata dal paradiso, e che serba di quel lontano ricordo una segreta fame inappagata. Quanti ebbero il presentimento della nascita di questo re dei giudei, venuto al mondo sotto una buona stella? Non lo sappiamo. Soltanto i magi si misero in cammino e seguirono la stella fino a Betlemme.

«I cieli narrano la gloria di Dio» (Sal 18,2). Affidandosi alla sapienza umana, i magi vanno in primo luogo a Gerusalemme, il centro spirituale del popolo ebraico. Perché nel piano di Dio bisogna che la loro scienza arrivi a cedere le redini alla Scrittura rivelata, che indicherà loro dove si trova il bambino. La fede nascente e già messa alla prova può allora intraprendere l’ultima tappa: quella che farà loro riconoscere nel neonato di Betlemme il re di un regno invisibile. Non rimarrà quindi che tornare in patria per un’altra strada: quella di un’altra vita, con la stella in fondo al cuore, per sempre.

Gli scribi, invece, non si muovono: sentinelle addormentate, lasciano che il deposito della Verità vivente divenga come un frutto secco fra le loro mani. Quanto ad Erode, che sente vacillare il suo trono, non fa che covare progetti omicidi. Ma Dio veglia su tutti coloro che camminano sulle tracce di una stella…

In cammino dunque seguendo le indicazioni dell’eucologia:

Antifona d’Ingresso Cf Ml 3,1; 1 Cr 19,12

È venuto il Signore nostro re:

nelle sue mani è il regno, la potenza e la gloria.

Nell’antifona d’ingresso: Mal 3,1; 1 Cor 19,12, adattati si canta la Venuta del Sovrano divino che si annunciava. Egli assomma in sé tutto il dominio di salvezza.

Canto all’Evangelo Cf Mt 2,2

Alleluia, alleluia.

Abbiamo visto la tua stella in oriente

e siamo venuti per adorare il Signore

Alleluia.

Con la visione della stella e il desiderio dei Magi di adorare il Signore apriamo la festa della santa Epifania; oggi, per mezzo della stella, Dio rivela il Figlio Unigenito quale Salvatore di tutti gli uomini.

Oggi anche noi fedeli portiamo, umili ed adoranti, le nostre offerte al divino “Sole della giustizia”ed ancora saremo soverchiati dalla grazia nella Parola salvifica e nei Misteri trasformanti:

Antifona alla Comunione Cf Mt 2,2

Noi abbiamo visto la sua stella in oriente

e siamo venuti con doni per adorare il Signore.

Nella persona dei magi venuti dall’Oriente, i popoli del mondo rispondono alla chiamata di Dio, individuano e riconoscono il Bambino di Betlemme come loro Salvatore. Si adempie la profezia di Isaia: il buio copre la terra, le tenebre avvolgono le nazioni, ma sopra Gerusalemme risplende la luce. Verso questa luce sono diretti i popoli della terra e in questa luce cammineranno d’ora in poi. Siamo di fronte ad un mistero che non era conosciuto dalle generazioni precedenti e quale fu rivelato a san Paolo dallo Spirito Santo: i pagani sono già coeredi e membri dello stesso Corpo, e compartecipi della promessa in Cristo Gesù per mezzo dell’Evangelo, Gesù inizia l’opera della riunificazione dei popoli e la fondazione della comunità della famiglia umana. La Chiesa, segno dell’unità di tutto il genere umano, continua a svolgere questa missione oggi finché non ritorni il Signore.

Abbiamo già conosciuto Cristo per mezzo della fede, abbiamo ottenuto il rinnovamento della nostra natura umana, apparteniamo alla Chiesa, popolo della Nuova Alleanza. Abbiamo bisogno, come una volta i magi, della luce di Dio per capire quanto grandi siano i misteri ai quali partecipiamo, per poter annunziare a tutti gli uomini le grandi opere di Dio.

Il nome della festa «Epifania» (gr. Epiphaneia, Teofania = venuta, manifestazione, apparizione) denota la sua origine orientale. Sembra sia stata introdotta in Oriente per gli stessi motivi e più o meno nello stesso tempo che il Natale in Occidente.

Nella liturgia dell’oriente la pericope della solennità di oggi viene letta il giorno stesso del Natale. Per la tradizione orientale in genere, e per quella bizantina in particolare, i Magi sono fra gli attori del Natale e non dell’Epifania, come per la tradizione occidentale. Tuttavia anche la liturgia romana e occidentale nella solennità della manifestazione del Signore contempla lo stesso mistero del Natale, ma lo fa mettendo in rilievo due aspetti molto concreti:

  1. la rivelazione della gloria infinita del Figlio unigenito del Padre
  2. la chiamata universale di tutti i popoli alla salvezza in

Questi due aspetti sono intrecciati fra loro.

In effetti la santa Epifania del Signore mostra la sua ricchezza se si tiene conto dovutamente di almeno due fattori chiave:

  1. il testo dell’Evangelo è stato composto dopo la Resurrezione, ed a causa della Resurrezione, e perciò vuole narrare le “conseguenze” della Resurrezione nella vita storica stessa del Signore;
  2. la forma di interpretazione più alta e compiuta a disposizione della Chiesa è la «lettura celebrativa».

Il nucleo originario del messaggio apostolico fu la morte, la resurrezione e la glorificazione di Gesù; intorno a questo, vennero un pò alla volta a radunarsi gli episodi della cattura, della condanna, della crocifissione e del sepolcro vuoto. Solo più tardi nell’annuncio vennero inseriti la vita di Gesù, i suoi miracoli e i suoi insegnamenti; gli «Evangeli dell’Infanzia» furono gli ultimi in ordine di tempo e rimasero ai margini del messaggio.

La pericope «dei Magi» è solo dell’evangelista Matteo; dei Magi non parla san Luca, e il silenzio dell’evangelista confidente della Madre di Dio appare davvero singolare. La narrazione, come è rilevato da recenti studi, appare come una piccola antologia di testi biblici e rabbinici che ne fanno un capolavoro di letteratura midrashica, in cui si individuano facilmente tratti di personaggi e di eventi dell’antica storia d’Israele.

Il racconto dei Magi è una rielaborazione di una storia di Mosè; l’autore che non è un semplice redattore di materiale, né un narratore di episodi, da vero teologo, e di straordinaria portata, facendo uso del midrash haggadico intende illustrare i seguenti punti:

  1. Gesù viene presentato in modo tipologico come colui che è più grande di Mose; è il liberatore escatologico del popolo;
  2. i doni dei Magi dimostrano che egli è re;
  3. Gesù non realizza solo la speranza degli ebrei, ma anche i desideri degli altri popoli.

Nell’evangelo di Matteo la Manifestazione del Signore si dirige dopo i Pastori ai Magi. Essa sta sotto molteplici segni di lettura ben distinguibili, posti dall’evangelista e che l’esegeta deve individuare. Il contesto è «secondo le Scritture» antiche. Anzitutto, quindi, è diretto all’Israele di Dio, nei diversi nomi:

  1. il «popolo di Dio» (Mt 1,21), da santificare;
  2. detto Giacobbe nella profezia di Num 24,17 nel 2;
  3. il gregge a cui il Signore stesso fa da Pastore nella profezia di Mich 5,2 nel 6;
  4. chiamato ancora, qui stesso, «il popolo mio Israele»;
  5. quello a cui il Signore invia il «segno» dei Magi, e il grande Segno finale che è la Stella, il Re Nato.

Altro segno di lettura è il contesto epifanico, ossia di teofania o manifestazione, come indica il termine greco, epiphàneia, un plurale neutro, una teofania benefica, poiché la teofania può essere terribile.

Altro segno è il contesto profetico che si snoda con una quantità incredibile di citazioni esplicite, talvolta con le «formule di compimento». Così:

  1. le genealogie richiamano Genesi, Levitico, 1-2 Cronache, Rut;
  2. l’annuncio a Giuseppe cita Is 7,14, la profezia sull’Immanuel;
  3. Betlemme richiama l’epopea di David;
  4. Num 24,17 rimanda alla Stella, e Mich 3,2 al Condottiero e Pastore da Betlemme;
  5. i doni dei Magi richiamano Is 60,1-10 e Sal 71;
  6. la fuga in Egitto chiama l’esodo, e Os 11,1: «dall’Egitto chiamai il Figlio mio»;
  7. la strage degli Innocenti cita Ger 31,15 su Rachele inconsolabile;
  8. la dimora in Nazaret e il titolo «Nazareno» richiama Is 11,1; 53,2; Num 6,1-21;
  9. per Giovanni il Battista si cita Is 40,3, la voce nel deserto;
  10. lo Spirito Santo e il Fuoco richiamano numerosi testi dell’A. T.;
  11. il Battesimo richiama Is 42,1; Es 4,22-23; Gen 22,2.10.16; Sal 2,7.

I lettura: Is 60,1-6

Altro testo di inimmaginabile grandiosità, da Isaia, una profezia che realmente spazia su tutto il «tempo della Manifestazione», Avvento, Natale, Epifania.

I cap. 58-59 (del Secondo Isaia, Is 56-66) erano confessioni dolorose, penose, sincere delle colpe passate di tutto il popolo. Ma al cap. 60 il Profeta divino annuncia la novità della vita che giunge sulla Città di Dio, la Sposa. Essa deve risorgere, e illuminarsi di grazia (Tob 13,13-14; Ef 5,14) poiché ormai il Signore sfolgora la sua Luce divina su lei (v. 1; 2,5), la sua Gloria divina (40,5; 58,8), al contrario che per i pagani, almeno per adesso (v. 2a). Il Signore stesso si pone come Luce perenne per la Sposa (v. 2bc). Tale Gloria è effusiva, attirerà i pagani alla Città di Dio (v. 3; Bar 4,36; 5,5; Is 42,6; 49,6; Pr 4,18; Le 2,31; Ap 21,4). E questa diventerà la Madre dei viventi, la Madre dei popoli, con figli e figlie senza numero, da ogni parte, e il Signore l’invita a scorgerli già da lontano (49,18), mentre giungono (v. 9; 66,20; 42,5) (v. 4; Sal 86, il «Cantico di Sion» che celebra questo). Il cuore materno della Città di Dio, la Sposa, sarà commosso, poiché le turbe dei popoli vengono (v. 5; 61,1), da regioni vicine e lontane; e da Saba (43,3; 1 Re 10,1; Sal 71,10), portano offerte preziose, l’oro della regalità, l’incenso del culto divino, e da adesso si faranno missionari essi stessi, per annunciare al mondo la lode divina (v. 6).

Il Salmo responsoriale: Sal 71,1-2.7-8.10.11.12-13, SR

Il Versetto responsorio: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra » (v. 11), è un testo adattato, con cui si canta il Signore, che sarà adorato da tutte le nazioni pagane. È l’effetto della Manifestazione «epifanica».

Questo Salmo regale e messianico celebra la Venuta dell’Inviato del Signore e da Lui consacrato, e così dotato delle grazie messianiche: il giudizio, che è soccorso per i deboli, la giustizia, che è la bontà (v. 1), per i poveri e per tutto il popolo di poveri (v. 2). L’Inviato divino produce frutti copiosi: perennemente (quanto durerà la luna, iperbole), porterà la divina Giustizia che è Bontà, e la pace divina che è salvezza (v. 7), così che il suo “dominio”, che è condizione universale di salvezza portata dal re come suo obbligo, si diffonderà beneficamente sulla terra (v. 8). Il suo influsso attirerà re lontani (Tarshish, Tartesso, Spagna?), di isole ancora inesplorate (nel Mediterraneo occidentale?), dal lontano meridione (Arabia, Saba), e tutti porteranno tributi di riconoscenza e doni di omaggio (v. 10). I re e le nazioni pagane lo adoreranno devotamente, come i Magi lontani (v. 11). Egli condurrà a termine l’opera regale salvifica per i poveri che stanno ancora senza aiuto (v. 12), che porterà alla prosperità (v. 13) nella grazia regale.

Esaminiamo il brano

2,1 – «al tempo del re Erode»: si tratta di Erode il Grande che regnò nella Palestina, sotto l’alta sovranità romana, dal 37 al 4 a.C. La data della nascita di Cristo non può coincidere con il primo anno dell’era volgare, ma deve essere arretrata di almeno sei anni. Ciò è dovuto ad un errore di computo fatto nel sec. VI da Dionigi il Piccolo, l’ideatore dell’era volgare.

«dei Magi»: il racconto di Matteo è molto sobrio nei confronti di questi personaggi; la tradizione, invece, da subito si è gettata su queste righe mostrando un particolare interesse per questi misteriosi personaggi e ha dato inizio a una creazione fantasmagorica. Esegeti e poeti hanno cercato di far luce sul loro numero, sul paese d’origine, sul fenomeno della stella, sul senso della loro missione…

Le risposte a questi ed altri interrogativi si rifletteranno poi nella liturgia e nell’iconografia. Per quanto riguarda il numero, si ritenne fin dall’inizio che i Magi fossero tre; il numero fu stabilito in base all’elenco dei doni da loro portati.

L’iconografia antica, però, mostra qualche incertezza in proposito mostrandoli in numero di 7, 10 o 12. Quanto all’origine, secondo Matteo essi giungono «dall’oriente» ed erano «magoi», un termine che era applicato ad astronomi ed astrologi, ad aruspici e maghi secondo quella misura di scienza e fantasia che caratterizzava l’antica sapienza.

Nella Bibbia «i figli d’oriente» erano spesso gli Arabi del deserto arabico o siro, le cui carovane commerciavano in oro, incenso e aromi. Ma nel libro di Daniele (cfr 2,4 dove sono chiamati “Caldei”) i magi sono i sapienti di Babilonia, antica sede di studi astronomici e astrologici.

Alcuni testi apocrifi (come il Vangelo arabo dell’infanzia del V-VI sec.) li considerano discepoli di Zarathustra, il profeta della religione iranica, adoratori del fuoco e degli astri. Li avevano fatti re sulla base di un salmo messianico che faceva prostrare tutti i sovrani davanti al Messia (cfr. Sal 71,10-11, il salmo responsoriale). Poi avevano attribuito loro le tre origini razziali principali (bianca, nera, gialla) ed età diverse per rappresentare i vari stadi della vita umana.

Beda il venerabile descrive così Magi caldaici: «Melchiorre anziano e canuto; Gaspare imberbe e rubicondo e Baldassarre corrucciato e con la barba».

Mancavano solo i nomi e a questo pensarono i cosiddetti vangeli apocrifi: un frammento del perduto Vangelo degli Ebrei (II sec), che li descriveva come «indovini dal colorito scuro e dai calzoni alle gambe», attribuì loro i nomi di Melco, Gaspare e Fadizarda.

E, come ci ha raccontato un membro della Missione Svizzera di archeologia copta, una decina di anni fa nell’opera di scavo dei 1.600 insediamenti monastici del deserto egiziano delle Celle, a Ovest del delta del Nilo, è venuto alla luce una parete bianca ove erano dipinti in rosso solo tre nomi: Gaspare, Belchior, Barthesalda. Si era attorno al 600-700 e forse un monaco aveva in quel modo celebrato i Magi, dopo averne sentito i nomi durante l’ufficio liturgico dell’Epifania nel quale forse si leggevano anche testi extracanonici.

In Occidente i Magi appaiono coi nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

Sul piano storico, l’arrivo a Gerusalemme di dignitari pagani attratti alla fede monoteistica del giudaismo o del cristianesimo trova riscontro nelle conversioni che si erano registrate nel passato più o meno recente (cfr. 1 Re 10,1-13, la visita della regina di Saba al tempo di Salomone).

Intenzionalmente l’evangelista li ha fatti emergere, invece, da un orizzonte vago perché a lui premeva non il dato storico preciso ma il segno. Nella piccola processione dei Magi verso Cristo Matteo vede in filigrana la processione planetaria annunciata da Gesù: «Molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli…» (Mt 8,11).

2 – «il re dei Giudei»: è il titolo che Pilato porrà sulla croce di Gesù (Mt 27,38) dopo averlo schernito con il suo interrogatorio sulla regalità (Mt 27,11) e avergli fatto subire l’oltraggio dei soldati (Mt 27,29).

«la sua stella»: proprio sui monti a oriente della Palestina, una dozzina di secoli prima, era risuonato sulla bocca di Balaam, un «saggio» venuto dalla Mesopotamia (chiamato dal re di Moab Balak per maledire Israele), il famoso oracolo messianico: «Ecco: lo vedo, ma non ora: lo scorgo, ma non da vicino: da Giacobbe spunta una stella, da Israele si erge uno scettro» (Nm 24,17). Antichi scrittori cristiani, come Origene, pensarono a una cometa; scienziati moderni, dopo Keplero, menzionano la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci avvenuta appunto nel 7 a.C.

Il particolare della «stella», oltre ad essere una chiara reminiscenza di Nm 24,17, inteso in senso messianico anche nella tradizione rabbinica (cfr. Testamento di Levi: 18,3; Testamento di Giuda 24,1; ecc.), allude forse alla «luce» che secondo un racconto popolare avrebbe inondato la casa di Mosè al momento della sua nascita (cfr. racconto «La fanciullezza di Mose» in “Il Midrash”, di Gunter Stemberger, EDB 1992, p. 269-275).

Anche in ambiente greco-romano il motivo della «stella» annunciatrice di grandezza e di gloria ricorre nelle biografie di grandi personaggi, come Alessandro Magno, Mitridate, Augusto, ecc.

3-9a – Entriamo ora nel vivo del genere letterario della leggenda di Mose. La tipologia Gesù-Mosè è giustificata da una tradizione rabbinica nella quale il testo di Es 2,15 è messo in relazione con Zc 9,9 per cui l’ultimo liberatore, come il primo, Mosè, sarebbe stato umile e avrebbe cavalcato un’asina. È interessante a questo riguardo l’interpretazione messianica dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme.

In sostanza il parallelo tra il salvatore definitivo e Mosè non è stato posto dai cristiani, ma ricorre comunemente nel mondo rabbinico.

L’evangelista Matteo tiene conto anche dei dati storici riguardanti il re Erode, pervenuti a noi anche da altre fonti.

Ecco l’impostazione seguita dall’evangelista Matteo nell’organizzare la sua presentazione del Cristo (cfr. Mt 2,1-23 con il racconto midrashico “La fanciullezza di Mose “):

  1. da un lato il faraone ha un sogno in cui apprende della nascita di un ebreo che lo spodesterà, dall’altro Erode apprende la notizia dai Magi;
  2. il faraone, la corte e la città sono presi da un grande timore, Erode e Gerusalemme sono sbigottiti dalla paura;
  3. il faraone consulta i consiglieri e gli astrologi, Erode raduna i sacerdoti e gli scribi;
  4. ambedue i sovrani decidono di far uccidere tutti i bambini nei quali si potrebbe compiere la profezia;
  5. in ambedue i casi il «salvatore» scampa alla strage, perché un angelo avverte il padre del pericolo imminente.

Da questo insieme ne consegue (come abbiamo già detto in precedenza) che lo scopo primario di Matteo è quello di evidenziare la realizzazione dell’attesa del secondo Mosè e quindi di mettere in risalto quei particolari che possono servire a questo scopo,

3 – «tutta Gerusalemme»: rappresenta qui dalla classe dirigente della nazione e il suo «spavento», che è allo stesso tempo sorpresa, anticipa quello che sarà il suo atteggiamento di netta ostilità a Cristo (cfr. 21,10).

4 – «sommi sacerdoti e scribi del popolo»: sono i conoscitori per professione delle sacre scritture, incaricati ufficialmente dell’esposizione di esse al popolo.

5 – «per mezzo del profeta»: si tratta del profeta Michea, la cui profezia nel testo originale suona così: «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mic 5,1).

6 – «non sei il più piccolo»: l’espressione sembra dire il contrario del testo di Michea sopra riportato. Ma, come suggerisce S. Agostino, bisogna badare piuttosto all’intenzione del passo profetico, ed allora il significato risulterà identico: mentre Michea guarda alla «piccolezza» numerica degli abitanti di Betlemme, l’evangelista, invece pensa alla grandezza morale del borgo, che ha la gloria di dare i natali al «Pastore» d’Israele, cioè a colui che sarà la guida vigile e sicura del nuovo popolo di Dio.

7 – «il tempo in cui era apparsa la stella»: il tempo chiesto da Erode ai Magi è il Chrònos, non cerca il Kairòs (= il tempo dell’agire di Dio), ma un tempo qualsiasi. Con la venuta di Gesù le autorità politiche e religiose rimangono tagliate fuori dalla possibilità di incontrare la gloria manifestata da Dio non perché non hanno i mezzi per riconoscerla (la citazione dì Mic 5,1 è nota agli studiosi), ma semplicemente per una loro libera scelta contro il piano di Dio. L’evangelista Matteo mette così in chiaro il rifiuto dei connazionali, per cui si realizza la profezia di Is 60,3 (cfr. I lett.).

8 – «informatevi»: è un’imperativo aoristo positivo che ordina di dare inizio a un’azione nuova. Erode non ha compreso la grande realtà che gli è stata annunciata dai Magi.

«accuratamente»: questo stesso avverbio è impiegato da Luca nel suo prologo (cfr. 1,3).

«fatemelo sapere»: un altro imperativo aoristo positivo che ordina di dare inizio a un’azione nuova.

10 «una grandissima gioia»: è l’unica nota di gioia in questo evangelo dell’infanzia. In Matteo la terminologia è la stessa delle donne al sepolcro (cfr. Mt 28,8). La gioia dei Magi è per la Stella, già «vista» in Oriente, adesso «vista» sul Bambino. Che è il Bambino.

11 – «nella casa»: la casa non contraddice la «grotta» di cui parla la Tradizione, perché nelle case di campagna in Palestina c’era spesso una stanza ricavata nella roccia, che serviva per deposito, per riporre gli attrezzi e ospitare anche animali.

«prostratisi lo adorarono»: (alla lettera: caduti lo adorarono) prostrarsi per baciare i piedi o la terra vicina ai piedi era il gesto con cui gli antichi orientali esprimevano davanti a un superiore venerazione e sottomissione e, in modo speciale, l’omaggio dovuto al re.

«in dono»: nei costumi orientali, l’offerta di doni faceva parte della visita di omaggio.

«oro, incenso e mirra»: erano i doni più apprezzati in Oriente: l’oro di Ofir, l’incenso dell’Arabia e la mirra dell’Etiopia. Forse non è estraneo alla narrazione evangelica il ricordo della profezia di Isaia riguardante la Gerusalemme messianica (Is 60,5-6 e Sal 71,10).

Il simbolismo che vede nell’oro la regalità del Messia, nell’incenso la sua divinità (o meglio, il sacerdozio) e nella mirra la sua umanità (il balsamo usato per ungere il corpo di Gesù morto; cfr. Gv 19,39), si adatta bene al nostro testo ma non sembra essere nelle intenzioni dell’evangelista.

12 – «fecero ritorno al loro paese»: gli Evangeli non dicono nulla circa le vicende dei magi dopo il loro ritorno; scompaiono così dalla scena.

Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di dire, la leggenda si è impadronita delle loro figure circondandole del fascino del mistero.

Secondo tradizioni della Chiesa assira e di quella caldea, essi fecero conoscere in Persia gli avvenimenti ai quali avevano assistito e predicarono la fede in Cristo.

Secondo le stesse tradizioni, costruirono in onore di Maria una chiesa che i Siri identificano con quella ancora esistente nel villaggio di Haq, nella regione di Tur Abdin. Questo edificio di culto, detto «El-Adra», o della vergine, è tuttora officiato; presenta un’architettura particolare, di forma quadrata, ma risalirebbe piuttosto al sec. IV.

Preghiamo affinchè come il Padre ha manifestato il suo Figlio con la Stella alle nazioni pagane ammetta anche noi alla contemplazione e alla visione trasformante e divinizzante:

Colletta

O Dio, che in questo giorno,

con la guida della stella,

hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio,

conduci benigno anche noi,

che già ti abbiamo conosciuto per la fede,

a contemplare la grandezza della tua gloria.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…