Commento al Vangelo di domenica 19 Dicembre 2021 – Comunità di Pulsano

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DOMENICA «DELLA VISITAZIONE DI MARIA AD ELISABETTA»

Una scena commovente, e tuttavia comune: due donne che aspettano un bambino si incontrano. Ma se pensiamo al posto che ciascuna di esse occupa nel disegno di Dio, questo incontro diventa uno straordinario e fecondo mistero. Nella visita di Maria ad Elisabetta, la Vita va incontro alla speranza umana. Il figlio di Maria, «le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (Mi 5,2), incarnerà in mezzo agli uomini il Dio invisibile; il bambino di Elisabetta porterà al culmine l’attesa di Israele. La vita di Dio e la speranza degli uomini: quale incontro! Ci stupiremo di ciò che è detto, di ciò che avviene?

«Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!»: in questo grido di Elisabetta si può cogliere un richiamo all’annunciazione attraverso cui Maria, ricoperta dall’ombra dello Spirito, è diventata la madre di Dio. La visitazione conclude e completa il messaggio dell’angelo. Ci troviamo di fronte al dinamismo dello Spirito che invade progressivamente i protagonisti dell’evangelo dell’infanzia: Maria, che intraprende con entusiasmo il primo viaggio apostolico, per condividere la propria gioia con la cugina; Elisabetta, che si inchina di fronte a ciò che rappresenta colei che è venuta a farle visita, e la proclama benedetta fra tutte le donne; Giovanni, che già sussulta di gioia, inaugurando così il proprio ruolo di precursore. Piccoli segni che rivelano che, fin dal concepimento di Gesù, un fiume di vita dilaga irresistibile, impaziente di irrigare tutta la terra.

La stessa atmosfera evangelica si respira ancora oggi, quando i cristiani, sull’esempio di Maria e di Elisabetta, parlano fra loro, con semplicità di cuore, della presenza di Dio nella loro vita, quando celebrano nell’azione di grazie le meraviglie che il Signore ha compiuto per loro. Ogni volta, è la chiesa di Dio che nasce fra gli uomini, nel sussulto gioioso dello Spirito.

La Domenica è sempre il «Giorno del Signore Risorto», e quindi invariabilmente anche oggi che è contemplato come Colui che venne nella carne e conclude degnamente il breve ciclo delle Domeniche d’Avvento. E così a causa ed a partire dalla Resurrezione e dall’ultima Venuta del Signore nella Gloria, e in vista della Resurrezione, il Signore adesso è contemplato mentre nasce nella carne. La pienezza della Redenzione, la Resurrezione del Crocifisso con lo Spirito Santo, motiva ed esplicita 1’«inizio della Redenzione», come i Padri chiamavano il complesso che dall’Avvento al Natale all’Epifania al Battesimo e a Cana è la premessa dell’adempimento finale. Da adesso il Disegno divino sta per manifestarsi e sta per operare quanto ha decretato immutabilmente.

«Colui che viene» tuttavia venne dal Cielo, da Dio, come «nostra Giustizia». E poiché il Cielo si unì con la terra, venne anche dalla «Terra vergine», Maria, dalla cui inviolata verginità, dono divino, il Signore stesso si plasmò la carne del Figlio, come in antico aveva plasmato dalla terra vergine, infondendo all’argilla il suo Soffio divino (Gen 2,7). Questo linguaggio inaudito è significante in modo straordinario. È una sintesi mirabile di «teologia della storia», sulla rigorosa base della Bibbia, che i Padri (da S. Ireneo in poi) hanno splendidamente esposto e codificato. Anche l’invito liturgico dell’antif. d’ingresso và urgentemente recuperato:

Antifona d’Ingresso Is 45,8

Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada

e dalle nubi scenda a noi il Giusto;

si apra la terra e germogli il Salvatore.

L’antifona d’ingresso tratta da Is 45,8 nel contesto della composizione che va sotto il nome di «Secondo Isaia» (Is 40-55), descrive con toni di violenta polemica lo scontro del Signore Unico, l’Unico Vivente, con la rovinosa idololatria del tempo (sec. 6° a. C). Il Signore è l’Unico Sovrano universale, il Creatore onnipotente e Onnireggente. Sotto la sua sovranità benefica sta soggetto tutto quello che Egli chiamò all’esistenza, cosmo, popoli, storia, non il solo Israele. Tutto avviene per gli uomini secondo il suo Disegno sapienziale imperscrutabile. Così Egli affida la sua missione salvifica, finalizzata anzitutto al suo popolo adesso in esilio, ma poi a tutte le nazioni, nelle mani di un pagano della steppa, di tribù barbare, Ciro re dei Persiani, il futuro rovesciatore della potenza immane di Babilonia, che era l’oppressione del mondo. Così fa anche risaltare mirabilmente il suo Disegno di «Dio Nascosto, il Dio d’Israele, il Salvatore» (v. 15). E fa risaltare coestensivamente la sua trascendenza e indicibilità, e la sua onnipresente Potenza che dirige la storia degli uomini. Perciò solo Lui può ordinare sovranamente la nuova creazione: nei cieli, che dalle loro nubi «distillino la Giustizia» misericordiosa e salvifica, e sulla terra, così che questa produca «la Salvezza». Nella teologia dell’autore si tratta di due personificazioni per indicare «Colui che viene» subito perché è il Promesso, l’Inviato unico del Signore «che crea tutte le realtà» (cfr T. Federici, Cristo Signore Risorto Amato e Celebrato. Commento al lezionario domenicale. Ed. Eparchia di Piana degli Albanesi: Palermo 2001).

La preoccupazione principale della liturgia non è certo quella cronologica, ma quella di introdurci nella contemplazione del mistero; in questa domenica, l’ultima prima del Santo Natale, la nostra attenzione è attirata sui tre messaggi che annunziano che il Figlio di Dio assume la nostra carne nel seno d’una vergine (Cfr Tabella lezionario delle Dom. di Avvento[1]):

  • l’angelo mandato a Giuseppe ci fa sapere che il bambino, il quale riceverà i nomi simbolici di Gesù ed Emmanuel («Dio salva» e «Dio con noi») è stato concepito per opera dello Spirito Santo (Evangelo anno A ).
  • l’angelo che saluta Maria da parte di Dio riceve il suo assenso a cominciare l’opera della redenzione (Evangelo anno B);
  • infine, Elisabetta, piena di Spirito Santo, annunzia la presenza del Signore nel seno di Maria (Evangelo anno C). Il mistero è immenso: «Taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche, per ordine dell’eterno Dio» (Cfr. Rm 16,25-27, II anno B).

Ecco perché la liturgia ci propone anche una riflessione sulla profezia di Isaia sulla Vergine che dà alla luce l’Emmanuele (I lett. anno A); di Natan a Davide sulla durata eterna del suo regno (I lett. anno B); e ancora quella di Michea che annunzia dove nascerà il Signore (I lett. anno C).

La riflessione apostolica completa la meditazione del mistero occupandosi non solo delle origini storiche di Gesù, Figlio di Davide e Figlio di Dio (II lett. anno A), ma anche del messaggio di salvezza che questo mistero comporta (II lett. anno B). «Entrando nel mondo, Cristo dice… un corpo mi hai preparato… per fare la tua volontà… ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo…» (II lett. anno C).

Tutto questo la liturgia lo riassume nella preghiera di II colletta,

O Dio, che hai scelto l’umile figlia di Israele

per farne la tua dimora,

dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere,

perché imitando l’obbedienza del verbo,

venuto nel mondo per servire,

esulti con Maria per la tua salvezza

e si offra a te in perenne cantico di lode.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

ma non basta; la Chiesa non ci fa meditare solo sul mistero dell’Incarnazione, ma ci introduce in essa in modo sacramentale grazie all’azione dello Spirito Santo nell’Eucarestia. Fra l’Incarnazione e il mistero eucaristico esiste un meraviglioso parallelismo, che non è sfuggito all’ispirazione della preghiera liturgica.

Proprio in questa Domenica, nella quale la Chiesa si concentra sull’avvenimento che si compie in Maria per opera dello Spirito Santo, il sacerdote dice la seguente orazione sulle offerte:

Accogli, o Dio,

i doni che presentiamo al tuo altare,

e consacrali con il tuo Spirito,

che ha riempito con la sua potenza

il grembo della Vergine Maria.

L’azione santificatrice dello Spirito che realizzò l’Incarnazione e santifica i doni eucaristici, giunge, in questo modo, a coloro che si comunicano col Verbo incarnato fattosi cibo. Coloro che celebrano l’incarnazione del Figlio di Dio divengono anch’essi portatori di Cristo, quando completano la loro partecipazione liturgica al mistero ricevendo la comunione eucaristica.

La parte dell’Evangelo relativa ai primissimi eventi della vita di Cristo gode, come si sa, di un trattamento di favore in Luca come in Matteo gli unici due dei quattro evangelisti attenti a quel periodo.

Senza pregiudicarne la storicità e la fedele trasmissione, i fatti dei primi anni di Cristo furono presentati con una particolare ricchezza di motivi soprattutto biblici, che riflettono la più profonda intelligenza che di tutto l’Evangelo gli apostoli ebbero dopo il dono dello Spirito Santo, al compimento del mistero pasquale di Cristo.

Nella trattazione parallela dell’infanzia di Giovanni Battista e di Gesù, 1’Evangelo si snoda in due dittici: un dittico delle annunciazioni (Cfr. 1,5-56) e un dittico delle natività (1,57-2,52). La visita di Maria ad Elisabetta è l’episodio complementare con cui termina il primo dittico, quello delle annunciazioni, che comprende:

  1. L’annuncio della nascita di Giovanni il precursore (1,5-25)
  2. e 1’annuncio della nascita di Gesù (1,26-38).

II racconto collega tra loro i due precedenti episodi; in effetti, oltre che Maria ed Elisabetta, sono Giovanni e Gesù che si incontrano per la prima volta. Attraverso la propria madre il profeta precursore saluta e rende testimonianza al Signore Messìa presente in Maria di Nazaret. Questo significato dell’incontro delle due madri è suggerito dalle discrete allusioni a episodi e personaggi dell’AT che si intravedono come in filigrana. Nel loro incontro è l’abbraccio tra l’Antico e il Nuovo Testamento, tra la promessa e il compimento. Il N.T. fa visita all’AT che è segno e promessa, per capire la realtà che si sta compiendo. Per questo l’evangelista Luca introduce accuratamente il suo lettore di origine pagana nella lettura della storia di Israele, della quale offre nei primi capitoli un riassunto insieme simbolico e concreto. Al di fuori della promessa dell’AT è impossibile «riconoscere» il dono di Dio che è venuto a visitarci; solo il Battista è in grado di indicarlo.

I lettura: Mich, 5,l-4a

Michea è un grande Profeta, anche se non è uno dei 4 “grandi”. Ma in fondo, questi quattro furono detti “grandi” anzitutto per la loro estensione, e gli altri 12 furono detti “minori” solo perché più brevi. Le ricchezze profetiche non si pesano dal numero delle pagine. Michea è contemporaneo di Amos e forse di poco anteriore ad Isaia (sec. 8°). La sua predicazione è indignata per le prevaricazioni del popolo di Dio, precisamente delle sue due fazioni che sono il regno di Giuda e quello d’Israele, e minaccia la venuta del «Giorno del Signore». Insieme però Michea preannuncia il largo perdono divino che sarà elargito dopo la punizione. Il Signore procederà alla restaurazione del suo popolo, e nella pace donata farà nascere il Dominatore d’Israele, il Salvatore.

L’oracolo profetico che si legge adesso, si apre con l’appello rivolto a Betlemme, un piccolo borgo insignificante, che nulla conta rispetto ai fieri capoluoghi del regno di Giuda. Tuttavia essa è una terra illustre e benedetta per un altro motivo, sommamente valido, è il luogo nativo di David. Da essa perciò, dalla discendenza davidica, uscirà Colui che sarà il Dominatore, ossia il Re Salvatore dell’Israele di Dio. Egli finalmente riunificherà Israele quale unico popolo previsto dal Disegno divino immutabile (v. 1). Questo personaggio era stato già preannunciato da Giacobbe, quando morente in Egitto volle benedire i 12 figli, gli eponimi delle future tribù del popolo d’Israele, e riservava al quartogenito, Giuda, la grande benedizione messianica:

Giuda, te loderanno i fratelli tuoi,

la mano tua sulle nuche dei nemici tuoi,

adoreranno te i figli del padre tuo.

Cucciolo di leone, Giuda. A predare, figlio mio, salisti,

riposandoti, ti accucciasti come un leone e come una leonessa:

chi lo risveglierà?

Non sarà tolto lo scettro da Giuda e il pastorale dal femore suo,

finché venga Colui che deve essere inviato,

ed Egli sarà l’Attesa delle nazioni.

Legando alla vigna il puledro suo,

e alla vite, figlio mio, l’asina sua,

laverà nel vino la veste sua,

e nel sangue dell’uva la tunica sua.

Più belli sono gli occhi suoi per il vino,

e i denti suoi più candidi del latte (Gen 49,8-12).

Il tema è ripreso nella promessa del Bambino nato e del Figlio donato di Is 9,6-7: «…e il dominio starà sul braccio di Lui…Dio Forte». Quindi da Geremia: «…e verrà il Condottiero suo da esso [Israele], e sarà prodotto il Principe dal suo seno» (Ger 30,21). Finalmente da Zaccaria (vedi anche l’Evangelo della processione delle Palme):

Esulta molto, Figlia di Sion,

giubila, Figlia di Gerusalemme:

ecco il Re tuo viene a te, Giusto e Salvatore,

egli è povero e montato su un’asina

e su un puledro figlio dell’asina (Zacc 9,9).

Sono tutti testi posteriori a Michea, probabilmente da lui derivati, con varianti originali. L’origine del Dominatore è avvolta nel mistero più fitto. Un contemporaneo, o di poco posteriore, di Michea, coevo di Isaia, dirà:

Egli ci vivificherà dopo due giorni, al terzo giorno ci resusciterà,

e noi vivremo alla Presenza di Lui.

Lo conosceremo e Lo seguiremo, al fine che conosciamo Dio.

Come l’aurora, è preparata l’uscita di Lui,

e verrà come pioggia di primavera e d’autunno per la terra (Os 6,3).

Tale uscita o venuta, disposta nel Decreto divino dall’eternità, è fin «dall’inizio», si perde nel Disegno imperscrutabile di Dio, che riposa nella stessa Esistenza eterna di Dio (Sal 88,2). Tale è anche l’esistenza e l’origine della divina Sapienza (Pr 8,22-25). Tale, finalmente, è l’esistenza e l’origine della Sapienza preeterna, che è il Verbo adesso incarnatosi (Gv 1,1). Questo “inizio” indica insieme l’assenza di tempo umanamente calcolabile, e l’entrata nella storia, che così conosce il suo vero “inizio” (v. 2). Il Bambino che adesso è contemplato mentre nasce, tuttavia è invariabilmente adorato solo come Colui che, realizzate tutte le profezie, è ormai il Risorto, il Glorioso nel cielo, il Signore e Dominatore.

Esaminiamo il brano

39 – «In quei giorni»: La visita di Maria ad Elisabetta è collegata con l’annunzio dell’angelo Gabriele, il quale, in segno dell’onnipotenza di Dio manifesta nella incarnazione del Figlio, menzionò il concepimento dell’anziana parente della Vergine (1,16-37).

«in fretta»: Maria fa visita ad Elisabetta, ma non per sciogliere un dubbio o per verificare la verità delle parole dell’angelo; va “in fretta” non certo mossa da ansia o da incertezza, ma da gioia e premura. Non va per “curiosità”, ma perché crede a ciò che le è stato detto e dato. Essa corre là dove il progetto di Dio comincia a realizzarsi, per riconoscere, adorare, cantare.

«una città di Giuda»: il luogo dell’incontro vagamente indicato come una città della Giudea montagnosa, è stato identificato dalla tradizione con il villaggio di Aìn Karìm, «la fontana generosa», a circa 6 Km a sud-ovest di Gerusalemme e a circa 150 Km da Nazaret. Il viaggio richiedeva preparativi e una scorta; occorrevano infatti ben quattro giorni di cammino.

40 – «Entrata… salutò»: il saluto ebraico è shalom, pace! Maria non solo augura e promette, ma anche porta in quella casa la pace promessa ad Israele.

41 – «sussultò»: alla presenza di Maria, sussultano le viscere dì Elisabetta; i due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur sì conoscevano bene. Il verbo greco usato dall’evangelista skirtáō indica che il movimento è scomposto, non è fatto con ritmo o misura (tripudiare). Lo ritroviamo in:

  1. Gen 25,22 indica il movimento di Esaù e Giacobbe in grembo a Rebecca, movimento che, non essendo ritmico ma disordinato, viene interpretato in senso sfavorevole.
  2. la danza di Davide davanti all’arca (2 Sam 6,13-22) proprio perché non si trattava di danza ma di movimenti disordinati, scomposti, viene rimproverata da Micol (figlia di Saul e moglie di David).

«fu piena di Spirito Santo»: la Parola Vivente, che Maria porta nel suo seno, come primo effetto comunica lo Spirito Santo ad Elisabetta, che nello Spirito riconosce in Maria la Madre del suo Signore.

42 – «esclamò a gran voce»: in sostituzione dell’originale anaphōnéō che indica un urlo, un grido causato da una forte emozione, senza precisarne la natura. Luca ama le espressioni energiche nel rendere le emozioni aggiungendo l’aggettivo grande come qui.

«Benedetta tu… benedetto il frutto…»: nel linguaggio semitico siamo di fronte ad un superlativo: non benedetta dunque ma benedettissima. La formula superlativa con la quale Maria è esaltata come “benedetta fra le donne“, cioè più d’ogni altra donna, è una eco degli elogi rivolti alle due celebri eroine del popolo di Dio Giaele (Cfr. Gdc 5,24) e Giuditta (Cfr. Gdt 13,18), ma assume un significato inedito perché unita alla benedizione del «frutto del grembo» di Maria.

43 «A che debbo…»: Al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? Molti autori mettono in evidenza il parallelismo verbale che intercorre tra il racconto della visitazione e il trasporto dell’arca a Gerusalemme al tempo di Davide.

Mille anni prima dell’incontro di Ain Karim, il re Davide al culmine della sua potenza aveva voluto fare di Gerusalemme la nuova capitale della nazione santa riunita sotto il suo scettro e per prima cosa si preoccupò di trasportarvi l’Arca Santa, trono di Dio, che si trovava su una collina a circa 15 Km da Gerusalemme:

  1. L’arca sale a Gerusalemme (2 Sam 6,2) Maria ad una città di Giudea (Lc 1,39);
  2. grida di gioia ed acclamazioni accompagnano l’arca (2 Sam 6,15; 1 Cr 15,28), il grido festoso di Elisabetta accoglie Maria (Lc 1,42);
  3. Davide saltava davanti all’arca (2 Sam 6,16), Giovanni salta nel grembo di Elisabetta (Lc 1,44);
  4. infine Davide si chiede, dopo un tragico incidente, se fosse degno di accogliere il trono di Dio nella sua casa e la lasciò in casa di un pio filisteo per «tre mesi», durante i quali il Signore benedisse quella casa (2 Sam 6,9-11; Cfr. Lc 1,43.56).

Maria è ora l’arca che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo.

44 – «appena la voce… il bambino ha esultato…»: Il sussulto (skirtáō) che permette il riconoscimento è narrato due volte: prima come fatto e poi come conoscenza del fatto. Non basta il fatto della visita del Signore, bisogna riconoscerla; lui infatti ci visita sempre anche se noi non ce ne accorgiamo, per questo non lo amiamo! I padri dicevano che il gigante dei peccati è l’oblio e richiamavano continuamente all’ascolto attento del cuore.

«Non appena giunse in mezzo a noi, il redentore dell’umanità si recò subito, ancora nel seno di sua madre, presso il suo amico Giovanni. Si vide allora il vasaio visitare l’argilla, il re andare ad abitare sotto la tenda del soldato, il padrone entrare nella capanna dello schiavo. Quando, dal seno materno, Giovanni lo vide nel seno materno, tentò di infrangere i limiti della natura. «Non conosco, disse, il Signore che fissò i confini della natura; non aspetto il traguardo della nascita. Non ho bisogno di una nascita maturata per nove mesi; a che prò starmene rinchiuso come lo sono ora? Perché non spezzare i legami che mi trattengono? Voglio uscire, voglio proclamare il significato di questi avvenimenti sconcertanti. Sono il segnale della venuta divina, sono l’annunciatore dell’incarnazione del Verbo di Dio. Voglio far udire la mia voce, e donare alla lingua di mio padre il bene della parola; voglio farmi sentire, e vivificare le viscere inerti di mia madre». Ecco ciò che vi è di straordinario in questo mistero: non è ancora nato, e parla sussultando nel grembo di sua madre; non è ancora venuto alla luce, e proferisce minacce; non è ancora in grado di gridare, e si fa capire a gesti; non è ancora iniziato alla vita, e predica Dio; non vede ancora la luce, e indica il sole; non è ancora stato messo al mondo, e cerca di correre avanti. Non può sopportare di rimanere rinchiuso quando viene il Signore; non può attendere il traguardo della nascita, e cerca di infrangere la prigione delle viscere, si sforza di indicare il Salvatore che viene, e con i suoi sussulti grida: «Ecco colui che spezza le catene: perché sono ancora legato? È venuto colui che con una parola ha organizzato l’universo: perché devo attendere i termini della natura? Uscirò, correrò davanti a lui, griderò a tutti: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Tutto questo dicono i sussulti di Giovanni, o meglio le sue parole». (Omelia attribuita a san Giovanni Crisostomo)

45 – «Ecco»: un avverbio usato più di 200 volte nel N.T., serve a Luca per attirare l’attenzione del lettore o sottolineare la grandezza di una cosa o l’importanza di un vaticinio. In ebraico era il modo con cui una persona si dichiarava pronta ad obbedire; nella narrazione vivace è usato per segnare, quasi a dito, una cosa presente o vicina.

«Beata colei che ha creduto…»: Elisabetta chiama makaría = beata Maria perché ha creduto nell’adempimento della parola del Signore che promette l’assolutamente impossibile. Questa è la prima beatitudine dell’evangelo e sarà su questa linea anche l’ultima di esso, in Gv 20,29: «beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno».

46-55 «Maria disse…»: è il canto con cui la Chiesa conclude ogni giorno la preghiera del vespro; è il canto dei salvati, di coloro che hanno sperimentato oggi la salvezza. È un cantico di lode, sul tipo di quello di Anna in 1 Sam 2, che vede la promessa ormai realizzata. È il canto di beatitudine di chi ha veduto e ha riconosciuto l’azione di Dio in suo favore. È il canto che prorompe dall’uomo che ha accolto il suo signore. È un canto personale ed insieme universale e cosmico.

Anche noi, avendo conosciuto dall’evangelo come l’angelo annuncia l’Incarnazione del Cristo Figlio di Dio, accettando la Croce e l’assimilazione a Cristo che soffrì, possiamo giungere alla gloria comune della resurrezione. Così preghiamo infatti nell’orazione di

I Colletta

Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre,

tu, che nell’annunzio dell’angelo

ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio,

per la sua passione e la sua croce

guidaci alla gloria della risurrezione.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

[1]          Tab. lezionario IV Dom. di Avvento

            anno A             anno B                         anno C

            Mt 1,18-24         Lc 1,26-38                    Lc 1,39-48

            Is 7,1044           2 Sam 7,1-5.8-12.14,16    Mic 5,1-4

            Rrn 1,17           Rm 16,25-27                 Eb 10,5-10