don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 12 Dicembre 2021

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Amate e fate quello che volete

Giovanni dalle arterie di fuoco, bruciava il sangue mentre gli occhi si consumavano di Niente e di Vuoto. Deserto. Sarebbe salito in cielo a prenderlo il Messia, l’avrebbe strappato a morsi dalle stelle, ogni giorno gli sembrava di morire, ogni giorno gli sembrava fosse l’ultimo, di esplodere gli sembrava, questo sentiva, stava per essere schiacciato dalle attese .

Il fiume, il deserto, le parole e poi occhi, occhi dappertutto, lo stanavano, lo infilzavano, gli sguardi della gente erano un martirio, aghi, se avesse saputo dove si trovava sarebbe andato lui a prenderlo il Messia, e l’avrebbe dato in pasto alla folla, che se lo sbranassero loro, lui Giovanni non aveva più carne addosso, scorticato dai morsi della preghiera, consumato dentro.

Un cavallo in piena corsa, così lo immaginava lui, un cavallo di fuoco, una scia luminosa, il vento e la traiettoria, l’eleganza e la potenza, così lo immaginava lui, il manto lucido, gli occhi sempre oltre, il fuoco, fuoco dalle narici, dagli zoccoli, fuoco a incendiare di bellezza il mondo, così lo sognava, soprattutto quando il desiderio prendeva forma di preghiera. Spirito Santo e fuoco, un nitrito divino.

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Forse perché lo scalpitare della gente diventava ad ogni giorno più incontrollabile. Arrivavano da lontano e avevano addosso quella pretesa che solo certi devoti osano sfoderare: che cosa dobbiamo fare? Pretendevano risposte. Avrebbero fatto qualsiasi cosa gli avesse detto, qualsiasi. Quando un uomo vuole credere ha già deciso di abbassare ogni difesa, è nelle tue mani. Giovanni lo sapeva che quella domanda era l’anticamera dell’inferno, lui lo sapeva che da sempre ci sono uomini pronti a dirti cosa devi fare esattamente, cosa devi fare, come se quello fosse il vero problema della vita. Giovanni prendeva quelle domande e le lanciava nel suo sogno: un cavallo in corsa, le battezzava di fuoco e libertà.

Giovanni era in mezzo, da una parte fremeva la folla dall’altra rimbombava il Suo silenzio. Giovanni aveva un solo compito, almeno questo gli sembrava di aver capito: tenerli a bada, contenerli, rassicurarli. La folla andava contenuta. Ma senza far loro perdere la tensione. Da una parte aveva questa gente che avrebbe accetto pure di credere che lui, il Battista, fosse il Messia, perché quando vuoi credere credi in ogni cosa. Dall’altra lui sapeva che bisognava farsi trovare pronti al fuoco, all’esplosione, alla terra che si apre in due, ad una corsa incandescente di un cavallo, all’incendio di una vita inedita. Acqua da una parte e Fuoco dall’altra, in mezzo: lui.

Giovanni, conteneva e sperava, insieme, c’erano notti in cui gli sembrava di esplodere, come una stella, arso da quella vita vissuta a una tensione disumana.

Come cavalli dietro al canape, prima della partenza, lui doveva tranquillizzarli senza far loro perdere il nervosismo indispensabile per la corsa. Doveva tenerli a bada perché non si disperdessero in utopie, doveva tenere a bada la forza del mondo, e lui si sentiva solo e credeva di non farcela.

Loro arrivavano e lui usava acqua, calmava, normalizzava: fate giustizia, diceva, che non è poco, dividete la veste e condividete il cibo, accontentatevi delle vostre paghe, non esagerate con la violenza. Dava risposte nobili ma non nuove, rimetteva l’umano nel suo recinto, ecco la sua predicazione era quella di un uomo che chiedeva agli uomini di essere tali. Non era poco, la giustizia, la vita insieme, non era poco, sarebbe già stato tanto ma lui lo sapeva, quello serviva solo a non disperdere le forze. Poi parlava di Spirito Santo e fuoco, un respiro incendiario, una rivoluzione. Giovanni era in mezzo, da una parte doveva ascoltare le pulsioni di un mondo che aveva bisogno di qualcosa di nuovo, come una nascita inedita, un popolo che non sapeva bene cosa stesse chiedendo e dall’altra aspettava il fuoco ad incendiare la terra.

Quando Cristo arrivò fu come liberare finalmente le energie. Come fosse una corsa incontenibile, la potenza e la bellezza. Finalmente l’Inedito poteva esplodere, non si trattava più di giustizia, non più di uguaglianza, quella era compito umano, nobile sì ma che qualsiasi uomo avrebbe potuto comprendere, non c’era bisogno che Dio infuocasse le strade del mondo per dire quello che già i profeti ripetevano da sempre, qui c’era un Fuoco, come un cavallo in corsa, qui c’era il sogno bruciante di perdere qualsiasi protezione, di liberarsi del mantello e di non avere più nessuna veste, qui c’era il fuoco di un amore che si sarebbe fatto crocifiggere nella sua nudità, e non bastava più condividere il cibo, bisognava diventare pane, per tutti, a costo di morire, il fuoco avrebbe trasformato in pane le carni e le carni in pane, sbranati per il desiderio di nutrirsi di Dio, e che il mondo si tenesse i soldi e anche i poteri, che si illudessero, che ci giuocassero come bambini, qui il cavallo era infuocato e incontenibile, nessun potere, nessuna tassa, solo la libertà!

Il cavallo era libero, la scia illuminava a giorno le notti, lo guardava correre Giovanni e piangeva, adesso non c’era più niente da contenere, era un battesimo di fuoco quello, oltre tutto, oltre la giustizia, oltre gli eserciti, perfino la violenza lui avrebbe trasformato in scia di cometa, in squarcio nel cielo, Giovanni piangeva e guardava e si lasciava finalmente bruciare, poteva aprirle le mani e dire ad ogni uomo che adesso non dovevano più controllarsi, mai più, che non c’era più niente da trattenere, che adesso era tempo di fuoco nelle arterie, di andare oltre, non più il tempo delle religioni, non più il tempo dei doveri, oltre gli equilibri, era il tempo nuovo della libertà. Amate e fate quello che volete. Amate e fate quello che volete. Piangeva Giovanni, e sentiva che ora nessuna regola mai. Amate e fate quello che volete. E lo vedeva, bellissimo, il manto lucido e la corsa, e la libertà. Ora nemmeno il deserto serviva più. Era luce, bellissima e potente.

Sono passati duemila anni, la giustizia è ancora lontana, il pane non si divide, il potere regna. Giovanni lo sapeva. Che occorra battersi per questo è giusto, doveroso: umano. Ecco a me pare umano. Molto umano. Se non senti in te lo scandalo per le ingiustizie sei disumano. Combattere per la giustizia, combattere ancora. Però farlo su di sé, questo anche mi pare ineludibile. Perché anche noi siamo custodi del male, da tempo non credo più a chi mi stordisce con grandi campagne di giustizia planetaria se prima non mi ha mostrato la sua fragilità. Ho dato troppo alla giustizia che con violenza brandiva vecchi e nuovi pacifismi. Ho sofferto troppo per chi aveva sulle labbra la parola “povero” e poi abusava di potere. E poi mi sono conosciuto, non mi sento immune da niente, anche io sono complice. Viro spesso in disumanità.

Però non possiamo dimenticare il fuoco. Questo credo. A me non basta la giustizia, se anche nel mondo non ci fosse più una vittima, se anche nel mondo ci fosse solo bene, a me non basta. Io ho bisogno di qualcuno che mi parli di un fuoco e di una corsa, di un amore così radicale da non essere contenibile nelle categorie del giusto. Voglio la follia di un cavallo in corsa, voglio una Chiesa bruciante e che non mi riporti sempre e solo alla predicazione del Battista. A me non basta, non basta per niente. E son sicuro non basterebbe più nemmeno al Battista perché quando incontri il Fuoco non basta un galateo di giustizia, amate e fate quello che volete canta quel poeta di Vasco Brondi… che poi è Sant’Agostino… bruciare, diventare pane, spogliarsi di tutto, fottersene del potere e porgere la guancia sempre di fronte a qualsiasi forma di violenza. Questa non è giustizia, questa è libertà, Infuocata. Fede. Se non raccontiamo questa perché dovremmo ancora esistere?


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica