Le parole che ascoltiamo oggi non sembrano appartenere al Gesù che siamo abituati a conoscere, quel Gesù che nel vangelo ci ha chiesto di non vergognarci della nostra stanchezza ma di portarla nell’unico luogo in cui poter essere ristorati. Oggi, infatti, si parla di una violenza da compiere. Perché mai? Perché accogliere Dio nella nostra vita non è mai un’operazione indolore: essa è sempre frutto di una violenza da compiere su se stessi per far sì che muoia l’uomo vecchio e ci si apra alla vita nuova che può nascere solo da un mettere a morte di ciò che non ha nulla a che spartire con il Signore e con il suo Vangelo. Forse siamo poco abituati e inclini a una simile prospettiva: in ciascuno di noi abita una logica mondana che nulla ha che fare con la proposta del Signore. Certo, dipendesse da noi vorremmo far convivere e ciò che ci aggrada del Vangelo e ciò che detta il nostro cuore.
Sebbene passiamo la vita intera a farle convivere, di fatto, le logiche mondane mal si sposano con lo stile del Vangelo secondo il quale il più grande è il più piccolo e il più piccolo il più grande. Il Regno di Dio, infatti, viene a noi con uno stile umile, dimesso, non appariscente. La sua accoglienza nella nostra vita non può essere attestata da logiche di forza: c’è una tentazione di grandezza, di potere, di sopraffazione, di apparenza che va mortificata – va messa a morte, letteralmente – se vogliamo ancora professarci discepoli di questo Regno. C’è una falsa immagine di Dio su cui costruiamo una falsa immagine di noi: “Chi ha orecchi ascolti”, ripete il Vangelo.
Il tempo dell’Avvento è proprio il tempo in cui passare al vaglio i nostri desideri, i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Passarli al vaglio non in modo dozzinale ma con “una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte”. Proprio come ha fatto Giovanni Battista il quale pur essendo di una statura ineguagliabile, ha scelto di farsi piccolo. Farsi piccolo è stato addirittura il suo progetto di vita, secondo quanto afferma: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). Giovanni è da accettare nel senso che è da fare nostro il suo stesso programma. Egli è il più grande proprio perché è il più piccolo. La vita cristiana è, davvero, un continuo diminuire per fare spazio: non ci sembri avvilente una simile prospettiva. Essa è un esercizio di verità e di libertà.
Gonfiarsi con aria di supponenza e di superiorità significa escludere, non certo fare spazio. E, perciò, è mortificante. C’è qualcosa di noi da ridurre in pula: ecco ciò che ci è affidato come compito in questi giorni di preparazione al Natale. Un compito che possiamo assumere solo se avremo preso una decisione risoluta cui fa riferimento l’immagine della violenza. C’è qualcosa che maschera la nostra vera identità: non siamo forse dei vermiciattoli e delle piccole larve? Eppure ci riteniamo chissà cosa, chissà chi. Se siamo sinceri con noi stessi, non è certo di noi e delle nostre piccinerie che dobbiamo vantarci. Possiamo vantarci soltanto “del Santo d’Israele” che continuamente ci fa grandi ai suoi occhi.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM