AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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Commenti del 2017 e 2018
“Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”.
E’ il vangelo di oggi che ci presta quotidianamente le parole che usiamo di consueto nella liturgia proprio ad un passo dalla comunione. Ma in realtà non ci accorgiamo quasi mai di quanta fede ci sia in questa espressione così semplice e così autentica di quest’uomo. Il centurione romano dice a Gesù che si fida così tanto di Lui da non avere bisogno di altri segni, o di altre prove concrete se non semplicemente la Sua semplice parola.
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Per lui basta solo la parola di Gesù a cambiare le carte in tavola senza bisogno di fuochi d’artificio, prove, controprove. Mentre noi abbiamo invece continuamente bisogno di segni, di prove, di gesti, di rassicurazioni forse perché non ci fidiamo veramente di Lui. Cerchiamo così l’effetto esteriore perché non crediamo che Lui sia così capace di cambiare la sostanza delle cose. La parola d’ordine di oggi invece è ‘fidarsi’ della Parola senza domandare altri ‘segni’.
Il segno più bello è quello della fiducia. È poter pregare con la certezza di essere già stati ascoltati. È affidarsi nella consapevolezza che se Dio dice di amarci non può mai agire conto l’amore perché agirebbe contro se stesso. La fede è saper credere a questo amore e non all’evidenza degli eventi nella loro superficie. Un bambino non teorizza troppo sui pericoli se è in braccio alla madre o al padre. Vive nell’interiore certezza che è la presenza di quella persona il motivo di sapersi al sicuro sempre e comunque.
Per lui vale di più la rassicurazione di quella persona che il pericolo incombente. La fede è un dono, ma dare fiducia è una scelta. La fede è come avere un padre che ti prende in braccio, ma la fiducia è scegliere di credere più a quelle braccia che a tutto il resto che grida il contrario.
“Signore non merito nulla, ma mi basta la Tua parola per sapermi salvo, perché tu mi hai insegnato che l’amore è dono gratuito e io credo alla gratuità del tuo amore senza altri segni”.
SECONDO COMMENTO
“Signore, il mio servo giace in casa paralitico e soffre moltissimo”.
La prima grande lezione del vangelo di oggi ci viene da questa iniziale parola pronunciata dal centurione romano. Paradossalmente egli non chiede, ma racconta a Gesù quello che sta vivendo, e consegna a Gesù la sofferenza di questo suo servo, che a quanto pare gli deve stare particolarmente a cuore se si mette a cercare una soluzione. Quante cose ci stanno a cuore? Quante cose viviamo nelle nostre giornate? Dovremmo imparare a raccontare a Gesù tutto.
A raccontare a Gesù la nostra sofferenza o la sofferenza che incontriamo sul nostro cammino, specie nel volto dei fratelli che incrociamo. La preghiera è innanzitutto questa consegna delle cose. Prima ancora di essere una richiesta è una sorta di affidamento. Poter dire a qualcuno ciò che sto vivendo è già un immenso miracolo. Gesù non solo ascolta ma previene anche la preghiera implicita nascosta in quel racconto: “Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò»”.
Ma è proprio a questo punto che la scena stupisce ancora di più perché il centurione romano mostra una fede immensa, più grande anche di quello che Gesù sta per fare recandosi a casa sua: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Che è un po’ come dire: “Signore io mi fido talmente tanto di te che sono certo che tu farai qualcosa per lui anche senza che io lo veda o che me ne accorga mai.
Io mi fido di te al punto che non importa che veda io come farai, ma sono certo che ciò che è giusto per lui lo farai”. Gesù è colpito dalla fede di quest’uomo, che tra l’altro non fa parte proprio di una cerchia di credenti, ma bensì del gruppo degli oppressori di Israele. “Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande!»”.
Infatti è grande la fede di chi prega senza cercare segni, ma con l’intima certezza che Chi ci ama non può non ascoltarci e fare ciò che è giusto.