Una rivisitazione narrativa dell’incontro tra Cristo e la Samaritana
L’autrice rivisita in forma narrativa gli episodi evangelici degli incontri di Gesù con tre donne, emblematici del rapporto rinnovato che Cristo instaura con tutti e in particolare con le figure femminili, alle quali riconosce una dignità e una parità con l’uomo impensabile per l’epoca. Negli incontri con la Samaritana, con la Cananea e con l’Emorroissa, Gesù valorizza, agli occhi dei discepoli, la fede in Lui che si manifesta in tutte e tre le protagoniste. Una fede motivata in modo differente ma esemplare, di cui ciascuna delle miracolate è consapevole. Il libro è impreziosito dalle note esegetiche al testo evangelico di Gian Nicola Paladino OFMCap, docente di Lingua Ebraica ed Esegesi del Primo Testamento.
Autori: Caterina Falconi è laureata in Filosofia. Ha lavorato per due anni in un ospedale missionario africano con il volontariato internazionale. È educatrice in un istituto di riabilitazione. Autrice dei romanzi Sulla breccia (Fernandel, 2009), Sotto falsa identità (Galaad Edizioni, 2014), ha pubblicato racconti in antologie e in ebook. Ha collaborato alla stesura delle sceneggiature del cartone animato Carotina Super Bip, della Lisciani Group. Sempre per la Lisciani Libri, è autrice di svariati testi: con Gianluca Morozzi di E invece sì. 55 storie di coraggio, di idee, di passione (2018); Narciso (Collana I Miti raccontati ai bambini, 2019); Shoefiti (Collana Black List, 2019), Iliade (Collana I Poemi, 2019).
Gian Nicola Paladino OFMCap ha conseguito il baccalaureato in Sacra Teologia presso l’Istituto Teologico di Assisi; la Licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, specializzandosi in Lingua Ebraica presso la Hebrew University of Jerusalem. È docente di Lingua Ebraica ed Esegesi del Primo Testamento presso l’IFTSP di Viterbo, affiliato alla Pontificia Università Sant’Anselmo (Roma).
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Leggi un breve “assaggio”
Il Vangelo
Giovanni 4,1-30
1Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni 2sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, 3lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria. 5Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». 13Rispose Gesù:
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». 17Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù:
«Hai detto bene “non ho marito”; 18infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». 26Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». 30Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
Il racconto
a donna aspettò che venisse l’ora più calda e le strade si svuotassero. Era così stanca della malevolenza del prossimo, di quegli sguardi taglienti, delle allusioni, delle profferte bisbigliate, che ormai usciva di casa lo stretto necessario, quando gli altri si ritiravano nella Tenda o nelle case di pietra. Perciò, nonostante fosse tormentata dalla sete, resisté fino a mezzogiorno e si avviò al pozzo carica di secchio e anfore. L’uomo con cui viveva era in viaggio e pretendeva che al suo ritorno il catino e la brocca fossero colmi. Era il compagno peggiore che la donna avesse avuto. Il sesto di una serie di padroni via via più inani e bestiali. Al primo marito era stata quasi venduta dal padre, che era poco più di una bambina. Il secondo aveva lo sguardo affilato dei pervertiti e la parlantina dei mercanti di cammelli. Per qualche tempo, la donna s’era lasciata irretire dalle sue chiacchiere. Quando aveva compreso l’inganno, aveva assaggiato lo staffile e s’era intrisa di fiele. L’umiliazione era arrivata con il terzo sposo, che l’aveva molto cercata per qualche tempo e poi scartata per una concubina, come si ripone una tunica preziosa usata per indossarne un’altra scadente ma nuova. Il quarto l’aveva ripudiata con una falsa accusa. Il quinto, che aveva un gran talento nel raccattare oggetti usati per sfruttarne il potenziale residuo, l’aveva sposata senza clamore e non l’aveva trattata né bene né male.
Dai giorni felici nella casa di suo padre, un uomo ricco e gentile che, su sua richiesta, le aveva insegnato di nascosto a leggere e a scrivere, la donna aveva attraversato una serie di stanze nuziali via via più cupe, in cui aveva smarrito parti di sé per ritrovarsi irrevocabilmente predata di beni e giovinezza. Predata, soprattutto, dell’audacia e della curiosità che da ragazzina la spingevano a interessarsi della Torah, appannaggio dei maschi. Quante volte, nascosta negli angoli del Tempio, aveva origliato le lezioni degli anziani ai suoi fratelli che fremevano di noia! In lei, invece, quelle parole ultraterrene si riverberavano come vibrazioni di stella. Ma soprattutto, quante volte s’era sentita attraversare da premonizioni e da una trascinante promessa di salvezza, se si metteva in ascolto del Sacro nella nicchia del proprio letto a baldacchino? In quei momenti, ne era ancora certa, la stanza aveva vibrato di presenze spirituali, non sempre benefiche.
Quando anche il quinto marito morì, e in città prese a girare la voce che fosse una strega, la donna comprese di non essere al sicuro. Le mani dei concittadini correvano ai sassi se la incontravano, ne impugnavano senza scagliarli, per paura della rappresaglia di qualche spirito immondo. Ma sarebbe bastato che qualcuno tirasse la prima pietra a scatenare la sassaiola mortale. E quanto le parevano bestiali, quegli uomini impastati di lussuria e superstizione! Quanto rimpiangeva le ariose stanze della sua infanzia, profumate d’incenso e stracolme di papiri, in cui risonavano i placidi passi del padre. Quel padre pavido che l’aveva ceduta all’amico, incapace di opporsi al consiglio degli Anziani, assestandole così la prima spinta il cui rovinoso abbrivo non sarebbe cessato che con la morte.
Alla fine, per quanto umiliante fosse la cosa, aveva dovuto accettare la tutela di un sesto maschio. Rintuzzando la ripugnanza per il corpo degli uomini, s’era insediata nella catapecchia di un poco di buono facile alla rissa. Finché fosse restata sotto il suo tetto, nessuna mano si sarebbe alzata contro di lei.
Ai vapori esalati dalla terra strinata dal sole si mescolava l’acre sentore del vicino mercato dei cammelli. Il pozzo di Giacobbe non era lontano e, avvicinandosi, alla donna pareva di respirare un’aria sempre più rarefatta, che diluiva l’afrore dei bivacchi e le insufflava nelle narici un’ebbrezza anestetica. Le piaceva camminare da sola, ammantata di bianco come un’apparizione, in quel caldo mortifero. Simile a uno spirito del deserto, al fantasma che sarebbe diventata se fosse morta così, vinta dalla canicola. Ma quel meriggio la corda dei suoi sandali planava leggera sui sassi e i piedi procedevano spediti. Nonostante si fosse alzata molto presto per rigovernare, le suggestioni del sogno in cui aveva palpitato per tutta la notte erano ancora vivide e la sospingevano su quel sentiero gravide di promesse. Un sogno di Angeli che bisbigliavano del Messia, proprio a lei, una Samaritana, che tuttavia aveva sempre creduto, fin da bambina, d’essere destinata a imbattersi nell’Inviato del Signore.
Giunta al pozzo s’impietrì, aveva scorto una sagoma d’uomo assisa su un masso. Il primo moto fu di correre a nascondersi tra i cespugli, in attesa che lo sconosciuto si allontanasse. Ma le gambe, d’un tratto insensibili, non risposero alla sua volontà. Calò allora il secchio nel pozzo profondo e, attinta dell’acqua, riempì un’anfora.
«Dammi da bere!1» le ordinò lo sconosciuto. Una richiesta non arrogante e neppure supplichevole, ma pacata e autorevole, come un’irripetibile offerta d’aiuto.
1 Gv 4,7b.