A cuor leggero
“Ricordati che devi morire!” urla il frate dalla strada. “…si si, mo’ ora me lo segno” risponde più imbarazzato che spaventato Massimo Troisi che insieme a Roberto Benigni si trova catapultato dai giorni nostri nell’Italia di fine medioevo del 1492. È una delle scene più divertenti del film “Non ci resta che piangere” del 1984, che racconta le avventure dei due protagonisti a confronto con fatti e personaggi storici di un’epoca lontanissima.
Gesù nel passo di Vangelo di questa prima domenica di Avvento, ad una lettura superficialissima pare proprio come quel burbero predicatore del film, evocando cataclismi e paure. Vuole spaventare i suoi discepoli? Hanno già di che star poco allegri con il loro Maestro che da li a poco verrà preso e ucciso dalle autorità civili e religiose, e anche per loro il futuro non è certo roseo. Ma perché queste parole così forti anche per noi oggi, mentre stiamo iniziando l’Avvento in preparazione al Natale, che anche quest’anno non si preannuncia facile e gioioso, come è successo lo scorso anno a causa di questa infinita pandemia del covid? Abbiamo bisogno di parole come queste?
Bisogna ammettere che sia in passato, come ai tempi di quel predicatore medievale, ma anche oggi le parole di Gesù che evocano condanne e angosce sono state usate in modo sbagliato, mostrando un volto poco evangelico della nostra religione. Il Vangelo non vuole impaurire, altrimenti non sarebbe “buona notizia”. Gesù non è venuto per narcotizzare di paure i suoi contemporanei e le generazioni future, ma al contrario a svegliarle proprio dalle false paure e inutili angosce, anche quelle ingiustamente prodotte da un modo falso di vivere la religione.
Gesù sta parlando ad un popolo di discepoli che vivevano un passaggio storico difficile, e che come tutti sentivano il peso delle tragedie umane. La vita allora come oggi non è mai facile ed è piena di insidie che minano la nostra serenità e futuro.
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Gesù usando un linguaggio profetico (che sicuramente per noi non è facile da comprendere ma a quel tempo era più usato, ricco di immagini e parole forti…), vuole lanciare un messaggio di liberazione. Gesù vuole liberarci dalle paure della vita che spesso ci paralizzano e chiudono in noi stessi. La pandemia è stata ed è ancora una esperienza globale che pare aver aumentato le nostre fragilità. Sono fragilità di ogni tipo, non solo fisiche ma anche culturali, sociali e religiose. Ma avviene sempre così nei periodi della storia e della vita. È entrando dentro le tragedie che proviamo quanto siamo deboli, ma anche quali sono le cose essenziali e le persone che davvero valgono per noi e che ci aiutano.
Gesù ai suoi discepoli dice chiaramente (e dovrebbe essere questa la frase da stamparci bene nella mente e nel cuore) “risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
La vita vera, la felicità del cuore, le relazioni umane non sono condannate alla dissoluzione, qualsiasi cosa accada nella storia e nel cosmo. Siamo persone liberate e Dio è un liberatore continuo e storico. Non dobbiamo aspettare “la fine” del mondo, ma possiamo scoprire che “il fine” del mondo, il fine di ogni singolo nostro giorno, è Dio liberatore, Padre amorevole che ci dona vita, e non morte e condanna.
Gesù annuncia questo e richiama i suoi discepoli a mettersi nella condizione di sperimentare questa liberazione e questo dono di felicità e vita. La condizione è quella di non ubriacarsi di superficialità, di non perdere tempo in inutili affanni, ma di dare spazio all’amore, alla festa, all’incontro con il prossimo, alla carità e servizio. Gesù ci invita a non appesantire il cuore ma a renderlo leggero e anche ad aiutare il prossimo a renderlo leggero.
La preghiera quando medita le parole liberanti di Gesù, rende il cuore capace di vedere oltre le pesantezze della vita. Quando la preghiera comunitaria è esperienza di condivisione e accoglienza, rende il cuore appesantito sollevato e non più solo.
E anche il sorriso ricevuto e donato può essere davvero un vaccino potentissimo contro tutte le varianti delle paure, anche quelle religiose che molti ingiustamente mettono al prossimo.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)