Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 20 Novembre 2021

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“Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” (v. 38). Ma di quale morte e soprattutto di quale vita si tratta? Quale vita sta a cuore a chi parla, a chi domanda a Gesù, non senza intenzioni di metterlo in difficoltà, di coglierlo in fallo? Sono ora i sadducei a farsi avanti. Appartenenti all’aristocrazia sacerdotale, a differenza dei farisei “affermano che non c’è resurrezione né angeli né spiriti” (At 23,8). 

Dietro a essi vanno forse riconosciuti i destinatari del Vangelo secondo Luca. Sembra di sentire la reazione dei greci al discorso di Paolo all’Areopago: “Quando sentirono parlare di resurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: ‘Su questo ti sentiremo un’altra volta’” (At 17,32). E forse non solo i destinatari contemporanei di Luca ma anche noi, che, nella nostra società consumista siamo come i sadducei: crediamo nella resurrezione? Ha incidenza nelle nostre vite?

La storiella che i sadducei sottopongono al giudizio di Gesù è paradossale, persino ridicola. La Legge di Mosè (cf. Dt 25,5-10) stabiliva che, nella misura del possibile, la vita non si concludesse senza lasciare discendenza, secondo il disegno di prosperità di Dio. Eppure è la resurrezione a riservare un avvenire alla caducità della vita, sempre sottoposta alla morte. 

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Alla luce della resurrezione, pienezza di vita in Dio, ogni nostra relazione trova consistenza e nuova e profonda collocazione. Ogni nostra relazione – e noi, ciascuno e tutti, siamo relazione! – trova senso nell’abbraccio di Dio, che ci è Padre, che guarda a noi come “figli della resurrezione” (v. 36). Se siamo – siamo chiamati a essere – “figli della resurrezione”, possiamo riconoscerci discendenza di Dio, vita che, nel travaglio dei giorni, non va perduta.

La discussione sulla resurrezione viene ricondotta da Gesù all’amore di Dio, alla sua fedeltà, perché l’amore di Dio per l’uomo rende impossibile che questi venga abbandonato in potere della morte. La morte non ha, non può avere l’ultima parola. Gesù riporta al cuore della Scrittura, alla rivelazione del Dio vivente a Mosè al roveto ardente (cf. Es 3,6).

Dall’amore di Dio che dura in eterno, sperimentato nella promessa fatta al popolo d’Israele, nasce la fede nella resurrezione.

“Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace.

Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi,
la loro speranza è piena di immortalità.
Per una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati
e li ha trovati degni di sé:
li ha saggiati come oro nel crogiuolo
e li ha graditi come un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno;
come scintille nella stoppia, correranno qua e là.
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli
e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli
vivranno presso di lui nell’amore,
perché grazia e misericordia
sono riservate ai suoi eletti.
Meglio essere senza figli e avere la virtù,
poiché nel ricordo di questa c’è immortalità,
per il fatto che è riconosciuta da Dio e dagli uomini” (Sap 3,1-4,1).

sorella Silvia


Fonte

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