L’ORA PRESENTE
In quei giorni, dopo la tribolazione il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore […].
Allora il Figlio dell’Uomo verrà sopra le nubi e riunirà i suoi eletti dai quattro venti (Marco 13, 24-27).
vivendo un’ora importante e tragica, non tanto per eventi apocalittici e catastrofici, di cui sentiamo l’incombenza, quanto per il declino di ogni reale valore, per cui l’uomo, pur vivendo nel miracolo della vita, il miracolo disprezza e, avendo molto di più che nelle passate generazioni, si sente miserabile come non mai. Ci sentiamo smarriti in un angosciante scetticismo che cerchiamo di colmare con riti religiosi e civili più o meno superstiziosi, con bricolage spiritualistici, con ritorni a vecchi miti o a posizioni di intransigente fideismo che ci fanno perdere quella chiarezza di intelligente coscienza che ci dovrebbe sorreggere.
L’aspetto più rilevante del nostro tempo è quello di una contraddizione insolubile e spiegabile solo con l’avvenuta inversione del significato dell’avventura umana. Qual è il senso del nostro esistere? Quello di porre mano allo sviluppo reale della coscienza, o quello di moltiplicare il benessere terreno?
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L’ora presente, nonostante le affermazioni di tanti pessimisti, offre all’uomo maggiori possibilità di ascesa che non per il passato. Le applicazioni tecniche della scienza hanno semplificato la vita, dando a ognuno delle possibilità che ieri erano sognate solo nelle fiabe. Le comunicazioni, rapide come non mai, sono un mezzo di reciproca fecondazione per liberarci da ogni angustia di provincialismo, razziale e religioso; l’uomo scopre di essere uomo in ogni latitudine e sotto qualsiasi colore di pelle. Uomo con le stesse immense speranze, con gli stessi aneliti fondamentali, con le stesse aspirazioni alla bellezza, alla gioia, all’amore, alla pace. Constatazione questa che dovrebbe abolire ogni solitudine, far scomparire tutte le disperazioni, facendoci toccare con mano che ovunque esistono uomini di buona volontà, quali primizie di un mondo nuovo.
Da dove viene la generale insoddisfazione, l’ansia, l’inquietudine che opprimono le anime e offuscano le menti? Come mai l’uomo odierno ha assai meno tempo che non mille anni or sono? E come mai, nonostante tutte le divulgazioni, sono così diffuse e l’erudita ignoranza e l’appiattimento dei valori morali?
L’uomo vive a caso, ignora il senso dell’eterno, mostra di ignorare la gioia delle opere che non servono ai loro immediati costruttori, di seminare nella gioia ciò che altri più tardi raccoglierà con gratitudine. L’uomo vive oggi la povertà nell’opulenza, e rischia di lasciare dietro di sé dilapidazione e miseria. In alcun luogo risplende il fuoco dell’entusiasmo, l’ideale presta il suo nome alle menti più abiette. In fondo a questo smarrimento troviamo la perdita del senso del divino, il sapore di Dio è stato oscurato dalle vitamine sintetiche, e la vita sta sempre più appiattendosi.
Sembra che s’avvicini l’ora in cui popoli, chiese, individui, chiamati a giudizio, dovranno rispondere dell’uso dei talenti loro affidati.
Nella storia e nella leggenda ogni epoca è stata definita dal nome di un uomo. Con quale nome definiremo l’attuale? Non ci soccorre in essa, che dovrebbe definirsi cristiana, il nome stesso di Cristo, che pur presente, anche troppo, sulle labbra mortali, è del tutto avulso dalla vita umana. Se così non fosse avremmo compreso il nostro mandato di uomini, e opereremmo in conseguenza, e non saremmo curvi a cercare un benessere che non ci placa e che ci sfugge, ma avremmo le fronti levate a scrutare i misteri del cielo e a ricevere dall’alto il mandato dello Spirito santo.
Il brano evangelico di Marco 13, 26-27 ci ricorda una parola che non passerà:
Vedrete il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi e riunire i suoi eletti dai quattro venti.
Non ricordiamo questa parola per creare delle psicosi di fine del mondo, ma per dirci, con tutta la forza che l’ora presente esige, che non fummo creati a immagine di Dio per sbranarci come lupi famelici; non abbiamo avuto in dote ragione e libertà per conoscere il bene e appigliarci al male; non fummo riscattati dal sangue di Cristo per continuare a dissipare le nostre vite; non viviamo sulla terra per trasformarla in uno stadio di ludi gladiatori; l’uomo è sulla terra per trasfigurarla nella pienezza della vita. I tempi incalzano, i cicli precipitano verso il loro termine, la sera si avvicina; che ne sarà dell’opera di chi non ha compiuto il suo lavoro?
Il Figlio dell’Uomo tornerà, avrà davanti a sé tutta l’umanità, spoglia di ogni privilegio terreno; ognuno avrà in mano il suo cuore di uomo, e verrà interrogato sull’amore. Questa immagine è così densa di riflessioni e di severi esami! Ci troveremo davanti all’Amore assoluto, non solo al consumarsi dei tempi, ma sempre, in ogni momento della vita, siamo davanti a lui! Quante volte lavoriamo per le strutture, le ideologie densificatesi attorno a lui, e lui, la verità immanente, dimentichiamo!
Non perdiamo più tempo di quanto ne abbiamo perduto, scuotiamoci da ogni inerzia, pensiamo che ogni istante della nostra giornata è pesato e misurato dalla verità e dalla luce di Cristo. Questa immagine acuisca la nostra responsabilità di creature umane, e ci rammemori che l’ora presente non tornerà più per noi e non dobbiamo perderla.
Giovanni Vannucci
(in Verso la luce, ed. CENS, Milano 1984, 33a domenica del tempo ordinario, Anno B, pp. 173-175).
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