Gesù, seduto sul monte degli ulivi, di fronte al Tempio di Gerusalemme, parla ai suoi discepoli. Uno di loro commenta la solidità e la magnificenza della costruzione, e tutti rimangono stupiti quando risponde: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta» (Mc 13, 2).
Le sue parole, che interrompevano un commento pieno di ammirazione, risultavano sorprendenti: di quale catastrofe stava parlando? Per loro quello che avevano udito poteva accadere solo alla fine del mondo. La fine era imminente?
Nelle parole di Gesù sono intrecciate parole dell’Antico Testamento, precisamente del libro di Daniele, con altre di Isaia ed Ezachiele. Usa immagini del genere apocalittico ben note nella tradizione di Israele: «il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc 13, 24-25).
Però, le previsioni degli antichi profeti culminano nella gloriosa manifestazione di Gesù Cristo, il Messia atteso, che, al di sopra dei cataclismi del cosmo e delle vicende della storia umana, rimane come un punto fermo e stabile: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13, 26).
Il Maestro svia l’attenzione dai dettagli secondari, come quelli relativi al tempo e al momento preciso nel quale arriverà la fine, per concentrarsi sull’essenziale. «Cristo è il Signore del cosmo e della storia – insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica -. In lui la storia dell’uomo come pure tutta la creazione trovano la loro «ricapitolazione», il loro compimento trascendente»[1].
La risposta di Gesù non ci descrive quello che succederà, ma è un invito a vivere bene il presente, ad essere attenti, sempre pronti per il momento nel quale verrà il Figlio dell’uomo e ci chiederà conto della nostra vita.
Il Maestro insegna che la storia dei popoli e delle persone ha una meta, che è l’incontro definitivo con il Signore. Quando e come accadrà non ha per noi un interesse più grande, per questo Gesù dice, provocatoriamente, che «nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13, 32).
In maniera deliberata ci allontana da una curiosità superficiale riguardo agli avvenimenti futuri, per mostrarci ciò che è veramente importante. Ci presenta la via più giusta per avere la vita eterna: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13, 31). Tutto passa – ci ricorda – ma la Parola di Dio non cambia, ed è la guida ferma per regolre i nostri comportamenti. Una vita ha senso e stabilità soltanto se si appoggia e ha fondamento nella Parola di Dio che Gesù ci ha dato.
Nel Credo professiamo che «Gesù salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente. Di là verrà a giudicare i vivi e i morti». «Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino»[2]. Nel Giudizio finale sarà evidente se nel corso della nostra vita abbiamo camminato alla luce della Parola di Dio, e se l’abbiamo disprezzata, fidandoci solo di noi stessi.
Francisco Varo
[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 668.
[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 678.
Fonte: Opus Dei