Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 7 Novembre 2021

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La fede racchiusa in due spiccioli

Il brano di Vangelo ci presenta due quadri contrapposti.
Da una parte ci sono gli scribi e i ricchi che fanno visita al tempio.
Gesù è nel tempio, guarda, osserva perché guardando si può vedere.
Ai discepoli chiederà di guardarsi bene dal non farsi ingannare dalle apparenze degli scribi.
“Amano passeggiare in lunghe vesti”: al tempo di Gesù tutti portavano il “tallit” (uno scialle di preghiera) ma gli scribi lo portavano ampio, lungo e sontuoso.

“Ricevere saluti nelle piazze”: quando camminavano erano ammirati, riconosciuti.
“Avere i primi seggi nelle sinagoghe”: nelle sinagoghe avevano un posto riservato, un posto d’onore.
“I primi posti nei banchetti”. Nelle feste erano nei posti più vicini al festeggiato.
“Divorano le case delle vedove”: promettevano preghiere in cambio di denaro ed essendo gli avvocati del tempo si facevano consegnare onorari, anche se era proibito farsi pagare per le loro attività!

Questa riduzione della vita a spettacolo la conosciamo anche noi, è una realtà di cui molti soffrono ma che molti inseguono.
Gesù non ha pietà per questi amanti dell’esteriorità, dell’esibizione.
Ieri come oggi, la cultura è dominata dall’idea dei traguardi, del successo.
Ma ciò che fa imbestialire Gesù è che gli scribi erano gli esperti della Scrittura, della Bibbia: erano gli esperti di Dio. Avevano Dio sulle labbra ma non nel cuore. Lo conoscevano con la mente ma erano ignoranti nella conoscenza del cuore. Dio non era un incontro, ma scienza, cultura, qualcosa che si poteva imparare a memoria. Marco ci sta dicendo che possiamo sapere tutto di Dio e rispettare tutte le regole (andare a messa tutte le domeniche, confessarci ogni mese) ma se il Signore non ci fa sussultare l’anima e le sue parole non ci fanno vibrare le corde del cuore a che serve tutto quello che sappiamo?

Gesù definirà questi uomini religiosi come degli eretici, senza fede, vipere, falsi.
Ai tempi di Gesù, come oggi, queste sono le storture più pericolose per l’uomo religioso che non serve Dio e i fratelli, ma si serve di loro. Le nostre comunità devono avere il coraggio di smascherare queste ipocrisie. Siamo chiamati tutti a svelare il fariseismo che ci abita.
Apparire, farsi vedere, ostentare è il contrario dell’amore. L’amore non è apparenza ma condivisione del nostro essere. La carità vera è donare un vestito senza poterne comprare un altro, è fare a meno di un pezzo di pane preferendo il digiuno.
Nel secondo quadro c’è la vedova. Irritato dagli scribi, Gesù si va a sedere vicino alla cassetta delle offerte posta all’ingresso del tempio.
Seduto davanti al tesoro del tempio, Gesù osserva come la folla getta le monete. Attenzione: Gesù osserva «come», non «quanto» la gente offriva.

Nel tempio vi erano tredici cassette. Dodici di queste avevano un’intenzione (per i poveri, per il culto, per il sostentamento dei sacerdoti, ecc.), la tredicesima serviva per le offerte volontarie, dove non vi era un’indicazione specifica. In genere si trattava di qualche voto del benefattore: ciò rendeva necessaria una trattativa, davanti a tutti, fra il sacerdote e il benefattore. I sacerdoti erano incaricati di valutare le offerte e di dichiararne ad alta voce la quantità. Niente di più allettante per chi si nutre di protagonismo, servendosi di tutto e tutti – pure di Dio – per apparire e ostentare la propria devozione.

Le povere donne erano esposte alla vergogna: “Tutto qua” dicevano i sacerdoti.
Le vedove non avevano sostentamento, né reddito: vivevano mendicando. Quei due spiccioli (5-6 euro) probabilmente erano il frutto della sua giornata di elemosina. Quella donna dona tutto quello che ha, ma proprio tutto. La sua condizione sociale la espone alla povertà, all’assenza di tutela giuridica, eppure lei non tiene da parte nulla, non si assicura qualcosa per il futuro. Il suo dono è radicale. Si affida totalmente a Dio.

Gesù non bada alla quantità di denaro. Conta quanto cuore, c’è dentro quei due spiccioli. Sono niente ma pieni di cuore.
Dio non vuole qualcosa, Dio vuole semplicemente tutto. Dio non vuole cose da noi; vuole noi. A volte giochiamo con Dio ma Lui chiede di giocarci per Lui. Vogliamo che Lui ci sia nella nostra vita ma che non interferisca con le nostre scelte. Solo chi si da del tutto avrà il Tutto.
Se non fosse stato per lo sguardo di Gesù, nessuno mai avrebbe saputo di questa donna.

Solo agli occhi di Dio può risplendere il dono di queste persone nascoste. Non a caso Gesù non scelse gli apostoli tra i sacerdoti o i ricchi del tempo. Li scelse tra persone forse intellettualmente povere, a volte dure e ostinate (ogni riferimento a Pietro è puramente voluto!). Gli apostoli avevano poco ma Gesù capì, attraverso lo sguardo, che forse sarebbero stati capaci di dare tutto il poco che avevano.
L’amore non riguarda la quantità ma la qualità, cioè la capacità del cuore di togliere qualcosa da sé per darla a un altro.
In questo brano c’è una delle condanne più dure che Gesù annuncia nel Vangelo e dove avviene? Nel tempio di Gerusalemme. E nei confronti di chi? Verso la casta religiosa del tempo. Loro volevano mettersi in cattedra ma Gesù non la pensa così: è la vedova che ci deve salire.
La vedova è il modello del discepolo che mette tutto nelle mani di Dio.

Amico lettore, il mondo è sorretto da uomini e donne come la vedova, di cui i giornali non si occuperanno mai, perché fanno una vita nascosta, fatta di giornate spesso cariche di fatica. I primi posti di Dio appartengono a quelli che, nelle nostre case, regalano vita alzandosi al mattino presto per preparare il pranzo prima di andare a lavorare, accudiscono un figlio malato conservando il sorriso e compiono mille gesti non visti da nessuno. La san-tità è fatta da piccoli gesti pieni di cuore. La capacità di dare, anche quando non si possiede nulla, ha in sé qualcosa di divino. Tutto ciò che facciamo con amore, ci avvicina all’assoluto di Dio.

La bella notizia di questa Domenica? Tutto il Vangelo è racchiuso in un bicchiere d’acqua dato per amore. Tutta la fede è racchiusa in due spiccioli, dati con il cuore.

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