La morte può separarci da chi amiamo?
Memoria dei morti
Dopo la festa di Tutti i Santi, proseguendo la memoria di quelli che ci hanno preceduto, ecco oggi la commemorazione dei morti. Una memoria antica, forse la più antica memoria celebrata e vissuta dagli uomini. Da quando si è sentito il bisogno di ricordare, di dare una testimonianza a chi è morto e dunque non fa più parte del mondo, ma almeno per dire che realmente è vissuto, si è cercato di dare una sepoltura, si è creata l’inumazione: si è cominciato con una pietra, un albero, un segno, a ricordare colui che era morto, quasi che dei segni dessero una testimonianza, narrassero qualcosa di chi ha vissuto.
Noi lo sappiamo, da migliaia e migliaia di anni c’è questa operazione soltanto umana, operazione che non appartiene al mondo animale. Sì, perché noi uomini abbiamo consapevolezza del tempo, della vita proprio riconoscendo la morte, lasciandoci interrogare sulla morte, vivendo nella consapevolezza che la morte ci sta davanti come termine della nostra vita. E anche combattendo la morte, sentita sempre e comunque da tutti gli uomini, di ogni latitudine, come la grande contraddizione.
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Allora in questa luce ricordare i morti, ricordare quelli che ci hanno preceduto, è innanzitutto un’operazione che ci aiuta a riconoscere ciò che noi siamo: siamo uomini nella catena delle generazioni, e se noi siamo è perché altri ci hanno dato la vita, altri ci hanno messo al mondo, altri ci hanno lasciato un mondo da loro costruito, elaborato. Nessuno di noi si fa da se stesso, nessuno di noi è il primo uomo.
Memoria dei morti diventa allora innanzitutto riconoscimento di un debito che noi abbiamo. Tutto ciò di cui noi beneficiamo è stato preparato da altri che ci hanno preceduto, e ciò che noi abbiamo vissuto è sempre stato vissuto con altri di cui alcuni, pochi o molti, a seconda della nostra età anagrafica, sono già morti. Ricordarli con riconoscenza, ricordarli in una profonda solidarietà, ricordarli con un esercizio che risveglia l’affetto è qualcosa di estremamente decisivo, non fosse altro perché l’amore deve sempre saper vivere non solo del presente, ma saper vivere anche del passato.
Se questo è molto umano e appartiene a tutta l’umanità, resta vero che noi cristiani abbiamo anche un’altra ragione per la nostra memoria dei morti: è la ragione della nostra fede nella resurrezione, nella vita eterna, è la ragione per cui noi professiamo di credere alla comunione, una comunione che va oltre la morte, comunione di vita, la vita in Cristo, quella vita che è stata più forte della morte.
Quando un cristiano pensa a qualcuno che è morto, e pensa soprattutto a chi è morto ma è stato amico, compagno, amato, amata, amante in vita, nella fede può dirgli e può dire a se stesso: ma chi, chi ci separerà dall’amore autentico che abbiamo vissuto? Forse la morte, forse il futuro, forse la tribolazione? No, niente e nessuno. Perché se l’amore è stato vero, autentico, era lo stesso amore di Cristo, quell’amore che ha vinto la morte. L’amore di Cristo ha vinto la morte e la nostra morte. E i nostri amori innestati nell’amore di Cristo vincono ogni separazione.
Ognuno di noi certo oggi pensa alle persone amate e che sono morte, ma dovrebbe anche pensare a una più grande comunione di tante persone verso le quali abbiamo un debito, persone di cui magari noi non ci siamo neanche accorti, ma che hanno costituito per noi ragione di vita e ci hanno edificati giorno dopo giorno.
Gesù ci rassicura: “Questa è la volontà del Padre mio, che io non perda nessuno di quanto egli mi ha dato, ma lo resusciti nell’ultimo giorno”. Questa celebrazione dei morti diventa dunque celebrazione della vita eterna nel segno dell’eucaristia che è l’effusione dell’amore di Cristo nei nostri cuori, un amore che noi vogliamo raggiunga tutti quelli che ci hanno lasciati e sono morti, con una certezza però nel cuore cristiana, specificatamente cristiana: se l’amore vissuto è stato autentico, cioè se il rapporto era amore, e amore vero, quell’amore che è Dio, allora non andrà perduto nulla e la comunione sarà vera vita eterna.
E’in questa solidarietà, in questa comunione con i morti che noi confessiamo il Dio dei vivi e dei morti, e confessiamo Cristo che con la sua resurrezione fa di noi un solo corpo per la vita eterna, in Dio.
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi