don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 31 Ottobre 2021

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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31a Domenica del Tempo Ordinario

Chi ha problemi col prossimo ha problemi anche con Dio

A volte il nemico del bene è il bene stesso, ossia un bene secondario che cattura tutte le attenzioni e gli sforzi e ci fa perdere di vista il Sommo Bene. Qual è la mia priorità nella vita? Bisogna avere il coraggio di farsi questa domanda per non correre il rischio di dedicare le energie a un progetto in sé buono, ma che non è il tuo, perché semplicemente la tua strada è un’altra. È il problema della vocazione, dello stare al posto giusto, perché è in quello stato di vita e non in un altro che riuscirai ad esprimere un amore più grande. Lo scriba che si avvicina a Gesù per interrogarlo parte dalla priorità della Legge ma viene condotto alla priorità dell’amore.

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La prima può tracciare il cammino della vita, ma solo il secondo ti dà la forza di percorrerlo e di generare altra vita. Finalmente non si tratta di qualcuno mosso dall’intento di mettere alla prova il Maestro per avere di che accusarlo, ma dall’ammirazione per la sapienza che Egli aveva dimostrato nella controversia precedente con i sadducei sulla risurrezione. In questo interlocutore vi è il bisogno di capire «qual è il primo di tutti i comandamenti», poiché non era facile districarsi tra i 613 precetti vigenti, 365 negativi (come i giorni dell’anno, ossia la totalità del tempo) e 248 positivi (come le membra del corpo umano, vale e a dire tutta la vita posta sotto l’osservanza della Legge). La risposta di Gesù pone l’ascolto come condizione dell’amore.

«Ascolta, Israele!» è la preghiera quotidiana del pio Israelita, il quale sa bene che Dio si è rivelato nella Parola, non nell’immagine, e senza un ascolto assiduo di essa non è possibile conoscere la sua volontà. Dall’ascolto alla conoscenza e quindi all’amore. Ascoltare qualcuno significa dargli ospitalità dentro di sé, diventare casa di un altro; ascoltare Dio vuol dire diventare dimora sua. Ma chi e come amare? È qui che emerge il tema della vocazione, perché posso amare anche la natura e dedicare tutta l’esistenza alla difesa degli animali, ma se l’oggetto del mio amore fosse solo questo, non avrei realizzato il mio progetto di vita. Cristo è inequivocabile nella sua risposta: ama Dio e ama il prossimo; tracciato quest’orizzonte in cui cielo e terra si toccano, ogni uomo potrà con libertà e creatività rispondere all’unica chiamata all’amore.

«Dio è l’unico Signore». Lo è davvero? Non intendiamo qui riferirci ai ben noti idoli del potere, del denaro, del sesso, ecc., ma a quel desiderio o comportamento nascosto, che ci si guarda bene dal rivelare, perché in fondo al cuore sai che non risponde al criterio dell’amore per Dio e non edifica il prossimo nella carità. Finché permane questa sorta di idolo segreto, Dio non è ancora l’unico nella nostra vita. Allora bisogna soltanto volere ed esercitarsi ad amarlo «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza».

Il Deuteronomio pone il verbo amare al futuro, presentando la scelta di amare come un cammino sempre da perfezionare, che impegna tutte le facoltà della persona: ‘cuore’, come principio di unità; ‘anima’, come identità sostanziale e storica; ‘forza’ come capacità di azione nella storia. Il riferimento alla ‘mente’, non presente nel testo dello Shemà, richiama la dimensione razionale dell’amore, che richiede lo studio della verità per una sua più profonda assimilazione, la conoscenza – diremmo noi oggi – dei problemi ecclesiali e delle sfide della cultura odierna per meglio dialogare col mondo e testimoniarvi la carità cristiana. Quanta gente analfabeta nell’amore, e non per limiti cognitivi, ma per il fatto che applica intelligenza e cuore a cose banali! C’è gente eccezionale nel lavoro ma inetta nell’educazione dei figli!

Occorre dunque nutrirsi della sapienza dell’amore divino, da cui discende l’amore per il prossimo. Quest’ultimo, già presente nel Levitico, è il criterio di verità dell’amore per il Signore, come attestano le lettere di Paolo e Giovanni. Per quale ragione chi ha problemi col prossimo in fondo ha ‘problemi’ anche con Dio? Perché mostra di non aver colto lo spirito della missione di Gesù, che ha sempre difeso e promosso l’uomo in tutte le condizioni di vita; inoltre è ancora legato a un amore autoreferenziale, che risulta ben disposto verso l’altro fino a quando riceve un qualche appagamento, mentre la carità autentica implica un completo svuotamento di sé per cercare la gioia nel rendere felici gli altri.

Lo scriba comprende l’insegnamento di Cristo e conclude mettendo in questione una religione dei riti, che però ha perso di vista l’amore.