Luis Cruz – Commento al Vangelo del 20 Ottobre 2021

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Il vangelo di oggi, in continuità con quello di ieri, riunisce le altre due parabole che esortano alla vigilanza. Gesù si rivolge ai suoi discepoli insegnando loro come prendersi cura del popolo di Dio che hanno avuto affidato. Li invita a vivere secondo la logica dell’amore, dell’attenzione, della tenerezza, della vigilanza.

Ogni cristiano è amministratore dei misteri di Dio: della vita che ci ha dato, dell’amore intratrinitario nel quale viviamo – figli di Dio Padre nel Figlio attraverso lo Spirito Santo –, dei talenti e delle capacità con le quali ci ha arricchito, delle persone che ci ha affidato. E nessuno ci può sostituire in questo compito.

Quando dimentichiamo che tutti questi beni ci sono stati affidati, quando pensiamo che li meritiamo e non ci rendiamo conto del perché li abbiamo, finiamo col chiuderci in noi stessi, pieni della nostra superbia, delle nostre invidie, dei nostri rancori, dei nostri giudizi critici. E allora non solo non badiamo agli altri, ma finiamo col maltrattarli, incapaci di guardarli con lo sguardo di Cristo.

Come fa notare Benedetto XVI, «questa vigilanza significa, da una parte, che l’uomo non si rinchiuda nel momento presente dandosi alle cose tangibili, ma alzi lo sguardo al di là del momentaneo e della sua urgenza. Ciò che conta è tenere libera la visione su Dio, per ricevere da Lui il criterio e la capacità di agire in modo giusto. Vigilanza significa soprattutto apertura al bene, alla verità, a Dio, in mezzo a un mondo spesso inspiegabile e in mezzo al potere del male. Significa che l’uomo cerchi con tutte le forze e con grande sobrietà di fare la cosa giusta, non vivendo secondo i propri desideri, ma secondo l’orientamento della fede»[1].

Gesù vuole che la nostra esistenza sia feconda, che non abbassiamo la guardia, per ricevere con gratitudine e pieni di meraviglia tutti i tesori del suo cuore. Vuole che rimaniamo vigilanti per mettere al servizio degli altri i nostri talenti e le nostre capacità, il nostro sorriso, il nostro perdono, il nostro lavoro quotidiano, la nostra vita di fede di speranza e di amore.

Cristo ci presenta la vita come una missione: stare “a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito”. La nostra vita è una missione. Veniamo sulla terra per qualcosa. o meglio, per qualcuno: per le nostre famiglie, per le nostre amicizie, per i nostri colleghi di lavoro, per i nostri vicini di casa. Dal modo in cui le trattiamo dipende, in gran parte, la felicità eterna di queste persone.

[1] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II, Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 319.

Luis Cruz


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