I piccoli particolari dell’amore
Nell’esortazione di Francesco sulla santità Gaudete et exsultate, il papa invita i cristiani, soprattutto in famiglia e in comunità, a fare attenzione – come faceva Gesù con i discepoli – ai «piccoli particolari dell’amore». Partendo da sette riferimenti evangelici (il vino di Cana, la casa di Giairo, il gregge del pastore, le monetine della vedova, l’olio delle vergini, il pane condiviso e la «piccola colazione» sul lago di Tiberiade) l’autore, aprendo il cuore anche con esperienze personali, ci conduce alla riscoperta di quei «dettagli» che possono essere un «di più» nella vita familiare e comunitaria. Dopo la pandemia, è ancor più importante cogliere queste «piccole cose» che possono rendere più felice il prossimo, ricordando che Dio privilegia i piccoli e ama rivelarsi nella semplicità.
Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli
a fare attenzione ai particolari. Il piccolo particolare
che si stava esaurendo il vino in una festa; […]
che mancava una pecora; […]
della vedova che offrì le sue due monetine; […]
di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda; […]
di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano; […]
di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia
mentre aspettava i discepoli all’alba.
Papa Francesco
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Leggi la premessa del libro
Tutti abbiamo avuto nostalgia di un semplice abbraccio.
Ho iniziato a mettere gli occhiali “da vicino” da qualche anno.
Capita a tutti di invecchiare, ma non credevo potesse toccare veramente, anche a me. Invece, intorno ai cinquant’anni – ma a molti succede anche prima – mi è calata la vista. Me ne sono accorto quando ciò che era scritto – il libro che stavo leggendo, le definizioni delle parole crociate (di mia madre), i messaggi del telefonino… – è diventato quasi improvvisamente più sfocato.
Non so perché, ma la nostra vista non riesce più a decifrare le lettere e ha bisogno, con un atto di umiltà, dell’aiuto degli occhiali.
Chi si affida ai “sensi spirituali” sperimenta il contrario. Arriva il momento in cui è più naturale vedere ciò che è piccolo, piuttosto che perdersi in cose grandi: i grandi discorsi, i grandi eventi, anche i grandi atti di carità. Ci si accorge, crescendo, di quanto sia più bello (e faticoso) diminuire, facendo spazio a quei particolari che sfuggono a molti, impegnati e preoccupati di apparire, piuttosto che di “essere”.
Io ho conosciuto tante persone che mi hanno aiutato a vedere ciò che è “piccolo”, a gustare le piccole attenzioni dell’amore.
Tra queste il mio parroco, don Aldo, un uomo ricco di sapienza, di cultura, di fede, ma soprattutto di umanità. Non amava le grandi manifestazioni di Dio, neanche quelle contenute nella Scrittura. Preferiva quelle che lo avvicinavano di più all’uomo.
Una volta servivo la veglia di Pasqua – ero seminarista – e ricordo che, dopo la lettura dell’Esodo, mentre il coro intonava con forza il bellissimo e coinvolgente Canto del Mare (che noi giovani cantavamo con forza) arrivando alle parole «ha gettato in mare cavallo e cavaliere», don Aldo si girò verso di me con uno sguardo di disappunto, dicendomi sottovoce: «Non mi piace». No, non amava un Dio presentato così, che scompiglia un esercito e fa sprofondare i nemici, fossero anche i temibili Egiziani. Preferiva di gran lunga le pagine che trasudavano di gesti umili, di umanità e di misericordia.
Diceva anche, scherzando, che se fosse diventato papa avrebbe abolito, come prima cosa, tutti i “titoli ecclesiastici”: da Sua Santità a Monsignore. Per questo avrebbe amato molto papa Francesco e, se fosse stato presente alla mia consacrazione episcopale, avrebbe pregato il Signore di allontanare da me ogni “tentazione” di grandezza, per scegliere costantemente la semplicità. Anche per questo motivo, leggendo l’esortazione di papa Francesco Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo attuale, arrivato ai paragrafi che riguardano il vivere in comunità (nn. 140-146) non vi nascondo che, pensando a don Aldo, mi sono un po’ commosso. Ed ora vi dirò perché.
Il Papa afferma:
[…] La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. […] Ed è anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo.
Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari. Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa. Il piccolo particolare che mancava una pecora. Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine. Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda. Il piccolo particolare di chiedere ai discepo-
li di vedere quanti pani avevano. Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.
È qui, in questa ultima riga, che mi sono commosso. Il Papa si riferisce all’apparizione di Gesù risorto ai discepoli sul lago di Tiberiade, come ci viene raccontato dal capitolo 21 di Giovanni. Mi sono commosso perché era il passo preferito da don Aldo.
Esperto di umanità, il mio parroco dava di quel “pesce sulla griglia” sulle rive del lago, un’esegesi che non ho mai ritrovato nei commentari sul quarto Vangelo. Piuttosto ho trovato spiegazioni del tipo: «È un’immagine eucaristica, un segno di comunione spirituale con i discepoli, un anticipo del giorno del Signore…» o ancora: «Il simbolo del pesce che richiama la Resurrezione e la Salvezza».
In nessun libro ho trovato l’esegesi di don Aldo, che diceva più o meno così: «Mi piace questo Gesù che prepara la prima colazione per i suoi amici, tanto più perché sa che quei discepoli hanno passato una notte insonne e priva di soddisfazioni».
In nessun libro l’ho trovata, fino a questa esortazione del Papa che inserisce questo gesto di Gesù tra i “piccoli particolari dell’amore”: il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.
Un Dio immenso attento ai particolari
Sì, l’Immenso è attento al piccolo. Perfino i capelli del nostro capo sono tutti contati (cfr. Mt 10,30)…
È bello sapere che Dio conosce, con assoluta certezza, il numero dei nostri capelli. Magari non si mette lì a contarli uno per uno, perché non ne ha bisogno. Lo sa e basta. Con uno sguardo capisce tutto, vede tutti i particolari. Ai suoi occhi non esiste una chioma indefinita. Non gli basta neanche sapere che all’incirca ognuno di noi ha centomila capelli in testa (perché è questa la media). Lui sa che io ne ho 98341; un altro 111005; un altro ancora 78983.
E se è vero che quando noi “ce la prendiamo” con qualcuno che eccede di perfezionismo, gli diciamo: «Ma che stai a guardare il capello?», con Dio occorre arrenderci. A meno che noi siamo calvi, “pelati”. In quel caso sarebbe facile contare anche per noi mortali.
Sì, noi crediamo in un Dio che “guarda il capello”, nel senso più bello di questa espressione. Per Lui ogni cosa bella è preziosa. Dio è attento alle piccole cose. Ha uno sguardo ampio e microscopico allo stesso tempo, perché chi ama non si perde in discorsi.
Chi ama è attento ai piccoli particolari.
Gesù insiste su questo aspetto della misericordia di Dio nel discorso “missionario”, riportato da Matteo (cfr. Mt 10,26-31).
Esortando i discepoli a non aver paura di annunciare il Vangelo apertamente, mettendo in conto incomprensioni e persecuzioni, ricorda che nemmeno un passero – che vale mezzo soldo – cadrà mai in terra senza il volere di Dio; tanto più noi che valiamo più di molti passeri. E che abbiamo qualcuno che ci conta i capelli.
La creazione stessa, opera d’Amore della Trinità, è un insieme di splendidi particolari. Ne sono prova – oltre i racconti della creazione in Genesi – i discorsi di Dio che ritroviamo nel libro di Giobbe.
Dopo che gli anziani amici di Giobbe e il giovane Ieu gli avevano fatto lunghi discorsi sul dolore e la sofferenza senza venirne a capo e dopo lo sfogo dello stesso Giobbe, uomo giusto, che non comprende il senso del male, Dio risponde con uno “sfogo d’Amore”.
Il Creatore, da processato sul perché del male, “si difende” con appassionata forza, chiedendo a Giobbe di ascoltarlo. E nei capitoli 38-41 (che vi invito caldamente a leggere) Dio passa in rasse-
gna la bellezza della creazione, indicando a Giobbe (e a tutti noi uomini) alcuni particolari che sfuggono alla nostra conoscenza. Faccio solo qualche esempio:
Chi fa nascere le gocce della rugiada? Da qual grembo esce il ghiaccio e la brina del cielo chi la genera? […] Puoi tu far spuntare a suo tempo le costellazioni? […] Chi mai è in grado di contare con esattezza le nubi e chi può riversare gli otri del cielo, quando la polvere del suolo diventa fango e le zolle si attaccano insieme?
Sei forse tu che vai a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncelli, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato nei nascondigli? Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi piccoli gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo? Sai tu quando figliano i camosci o assisti alle doglie delle cerve? (Gb 38,36-41; 39,1)
È come se Dio ci dicesse: «Che ne sai tu di tutto ciò che è nel creato? Puoi anche assistere a tutti i documentari sulla natura di Superquark e di National Geographic Channel (che sono bellissimi), ma non potrai mai svelare i segreti quotidiani della creazione, sconosciuti agli occhi degli uomini…».
Ci sono infiniti piccoli particolari che ci sfuggono, ma che sono nella mente e nel cuore di Dio. E, ad un Creatore così attento, non possono sfuggire neanche il male, la sofferenza, il dolore, che non sono voluti da Lui (perché causati o subìti dalla fragilità umana), ma da Lui sono fatti rientrare in un disegno più grande d’Amore.
Dio ci regala un metro speciale
Ci sono luoghi sacri al mondo che custodiscono “tesori” piccoli. Pensiamo alla Porziuncola, ad Assisi, all’interno della basilica di Santa Maria degli Angeli. O alla “santa casa” di Loreto, così sem-
plice all’interno, rispetto ai marmi delle mura esterne. O ancora alla piccola porta della basilica della Natività a Betlemme. Penso al cammino di Santiago, esperienza bellissima, che sembra così lungo, ma alla fine è un insieme di tanti piccoli passi possibili, come nella vita.
Pensiamo alla grotta di Massabielle, a Lourdes. Quel luogo è come una “calamita”. Dovunque possiamo trovarci, a Lourdes, in una chiesa o nella spianata o in qualcuno dei negozi, alla fine siamo attratti verso quella grotta, dove nel 1858 una ragazza analfabeta, della famiglia più povera del paese, ha avuto l’incontro con una Bella Signora. E, da quell’incontro tra “piccole” (Maria e Bernadette), ha avuto origine uno dei santuari più grandi, meta annuale di milioni di pellegrini.
Una volta il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, che presiedeva la Messa alla grotta, ci disse:
È come se Dio ci regalasse, ad ogni pellegrinaggio a Lourdes, un “metro” speciale che non misura l’altezza, ma la “piccolezza”. Ogni anno dovremmo chiederci se siamo diventati più piccoli, più umili, più attenti ai poveri.
Il cammino di fede inizia da un piccolo segno
Mi è sempre piaciuto celebrare i battesimi. È bello iniziare la celebrazione della Messa in modo diverso, non andando all’altare, ma verso la porta della chiesa, incontro alla coppia di genitori e ai padrini che presentano il bambino da battezzare. Mi colpisce il fatto che, quando c’è un battesimo, non si inizia facendoci noi il segno di croce, ma prima di tutto si domanda il nome del bambino, si chiede ai genitori e ai padrini se vogliono impegnarsi ad educarlo alla fede… e poi ci si rivolge al neonato (a volte già cresciuto, di qualche mese) e con un sorriso gli si dice che è stato accolto. Come gesto di questa accoglienza, lo si segna con la croce sulla fronte. Prima io, sacerdote. E poi la mamma, il papà, la madrina, il padrino.
Niente può sostituire quel momento, quel piccolo segno sulla fronte. Certo, poi c’è il battesimo, il fonte, l’acqua, i capelli bagnati, i pianti, i sorrisi. A me piace anche, subito dopo, sollevare il bambino in alto e farlo vedere a tutti, strappare un applauso che dice tutta la gioia di averlo accolto in comunità.
Eppure niente può sostituire quel piccolo segno sulla fronte. Perché è il gesto che i genitori potranno continuare a fare ogni giorno, ogni sera, ogni mattina sui loro figli, anche quando saranno cresciuti.
È il gesto che ancora mi fa mia madre, anche se sono vescovo ultracinquantenne. È il gesto che mi dice che Dio è relazione di persone, è Amore; e che Cristo incarnato è morto e risorto per me!
È il gesto che ho fatto tante volte, sui bambini, sugli sposi, sui malati, sugli anziani. È un gesto piccolo, di una mamma, di un papà. E mi commuovo quando gli sposi si scambiano questo segno o mi raccontano che non si addormentano senza benedirsi a vicenda.
In particolare i giovani della parrocchia ci tenevano tanto, prima di partire per un campo-scuola o in qualche occasione della loro vita. Questo gesto è un raggio di paternità, nella semplicità di un segno di affetto, come nella sacralità di una cresima, con il mio pollice unto di crisma.
Questo piccolo segno mi fa pensare anche al bacio, che è un piccolo ma importante particolare della tenerezza che può trasformarsi in un segno di tradimento se non è vissuto nell’Amore. E ogni giorno quando bacio l’altare e il Vangelo, mi auguro che io possa essere sempre capace di abbracciare i fratelli nella carità, senza scappare dopo la messa, o chiudendo le porte, ma andando incontro alla gente, in particolare ai piccoli, ai malati, ai poveri.
Perché ho scritto questo libro
È per quel fuocherello pronto all’alba, è per quel pesce sulla griglia, per don Aldo e per tante persone conosciute, che ho pensato di scrivere questo libro. Perché credo che dovremmo tutti recuperare l’attenzione ai piccoli particolari dell’amore.
È per i piccoli segni del creato, il fiore sull’albero di limoni, il raggio di sole tra le nubi, il pappagallo che vola in città. È per il caffè che ci sveglia al mattino.
È per i bambini che vengono alla vita, piccoli, ma già grandi. È per il piccolo segno di croce sulla loro fronte, e sulla mia, fatto dalla mia mamma e, prima ancora, dal mio papà. È per la nostalgia che tutti abbiamo sperimentato di un semplice abbraccio.
È per la Porziuncola, per la casa di Loreto, per la porta della basilica di Betlemme, per il “cammino”, per la grotta di Massabielle.
È per papa Francesco, che ci esorta alla santità nelle piccole cose.
Ritornando allora al paragrafo dell’esortazione del Papa che parla di questo, prendo spunto dai sei riferimenti evangelici indicati dall’Esortazione, aggiungendone uno (il secondo) e concludendo con altri due capitoletti, alla fine del libro:
- Il piccolo particolare
che si stava esaurendo il vino in una festa. - Il piccolo particolare
di accorgersi che una bambina aveva fame. - Il piccolo particolare
che mancava una pecora. - Il piccolo particolare
della vedova che offrì le sue due monetine. - Il piccolo particolare
di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda. - Il piccolo particolare
di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano. - Il piccolo particolare
di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia, mentre aspettava i discepoli all’alba.
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