Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 14 Ottobre 2021

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“Gesù non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo” (Gv 2,25).

Gesù vive nella verità, ossia vive pienamente la sua vocazione di Figlio di Dio. Vive nella carne umana il desiderio di Dio per la persona umana. Percorrendo la sua vita nei vangeli veniamo a contatto con la sua autenticità, con la sua unità interiore, e dunque con la sua autorevolezza senza maschere o altri sotterfugi per farsi valere. Conosce la complessità del cuore umano, la sua fatica ad accettare la propria verità in umiltà e semplicità. 

Allora prende le vesti di profeta, porta la parola del Padre, per chiamare il popolo alla verità. Così ha chiamato i farisei a prendere coscienza delle proprie contraddizioni; nel seguito del testo chiama anche i dottori della Legge, che sono i teologi e i predicatori dell’epoca. 

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Il suo discorso è violento, certo, poiché “conosce quello che c’è nell’uomo”, sa di dover scuotere le sicurezze fasulle degli scribi, sa di dover mettere in atto la cura di Dio per il suo popolo. La storia di Israele, che è paradigma della storia dell’umanità, è questa lotta continua tra le potenze di vita proposte da Dio e le reazioni mortifere degli esseri umani, incapaci di accogliere con semplicità la vita proposta loro. Alla passione amorosa di Dio che vuole la vita, c’è allora la risposta violenta di morte degli uomini che uccidono i profeti quando essi denunciano e richiamano alla verità (cf. vv. 47.54).

“Guai!” (vv. 47.52): parola di rimprovero e di chiamata profetica passionale. Parola di tristezza, di lamento funebre, che si può anche tradurre liberamente con “Infelici siete voi!”. 

Vivere nell’ipocrisia senza riconoscerla e senza tentare di sradicarla porta all’infelicità, ma questa infelicità è difficile da riconoscere: “Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi!” (Lc 11,45). Gesù si espone con grande coraggio per rivelare loro il loro guaio.

Gli scribi hanno il compito di spezzare il pane della Scrittura per il popolo, per fare comprendere la salvezza di Dio. La loro responsabilità è grande: “Avete portato via la chiave della conoscenza, voi non siete entrati” (v. 52). Sono rimasti fuori, ed è per questo che devono fingere un’identità di figli di Dio, davanti a sé e davanti al popolo. Se, davanti alla chiamata continua di Dio attraverso le Scritture e i profeti, non ci convertiamo, c’è un rifiuto della verità nostra e lo spazio interiore diventa libero per l’ipocrisia, per la scissione interiore. Gesù, che conosce i cuori, mette in luce questa tenebra, la sua unità interiore è salvezza per noi, lui è il “beato”, noi gli “infelici”. “Infelici voi” (vv. 47.52) richiama il “beati voi”. Ma il vangelo fa una scissione tra gli infelici e i “beati” felici? Ci condanna ai nostri “guai”? Siamo tutti degli infelici per la nostra mancanza di unità che viene dalla difficoltà di accettare la verità. Abbiamo paura della condanna se la guardiamo in faccia, invece lo svelamento della nostra verità nella luce degli occhi di Gesù ci guida verso la felicità del vangelo che è beatitudine. Il “guai a voi” può portarci al “beati voi”, se ci convertiamo: buona notizia!

Sorella Sylvie


Fonte

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