Le parole di Giovanni oggi ci toccano personalmente, come cristiani.
Qui il tema di fondo è l’esclusività: il gesto dei discepoli, di cui Giovanni si fa portavoce, è un gesto che noi stessi compiamo. Esclusività, perché riteniamo di portare e poter usare solo noi quel nome. Esclusività che implica esclusione di tutti coloro che non seguono esattamente le regole, le nostre regole. Perché in fondo del nostro modo di essere cristiani, di quel nome, noi facciamo un marchio.
Cosa significa veramente agire in nome di Gesù? È farsi portatori di un nome, “Jeshua”, che è in realtà un annuncio: “Dio salva”. E un simile annuncio non è compatibile con alcun tipo di esclusività, ma ci spinge ad accogliere e ad accettare, a essere consapevoli dell’esistenza di vie diverse rispetto alla nostra, di altri carismi, che si muovono nella stessa direzione e convergono verso lo stesso obiettivo.
Vivere e agire in nome di Gesù significa effettivamente essere segnati, riconoscibili in quanto testimoni: come cristiani noi siamo suoi occhi, sue mani e suoi piedi. Questo implica una responsabilità, verso il prossimo e verso noi stessi. Con parole dure Gesù ci invita a liberarci di quanto in noi sia motivo di scandalo: non è questa l’imposizione di una norma, di un giogo, ma un invito ad essere liberi, a privarci di ciò che ci rende divisi in noi stessi, frammentari.
È, in definitiva, un invito a eliminare qualsiasi corpo estraneo o protesi autocostruita ed entrare nella vita, per riavere la nostra interezza nel corpo che è in quel nome, Gesù.
Pietre Vive (Roma)
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato