Gesù invia i discepoli, che si trovano di fronte a due compiti: annunciare il Regno e porre un limite al male. I discepoli sperimentano la sospensione del viaggio. Sono sospesi. Il viaggio domanda l’esigente scelta di rinunciare al denaro, alla sacca, al bastone, a un secondo vestito. Si trovano faccia a faccia con la decisione di rinunciare al possesso rassicurante, che pare abbia il potere di garantire il futuro. Rinunciano, e il viaggio si trasforma in un’esperienza di nudità. Portano soltanto ciò che serve nel presente. Sono nudi, privi di assicurazioni: sono un’immagine che può parlare alla mia vita.
I discepoli provocano i ricordi e mi conducono a fare memoria dei momenti in cui ho sperimentato la nudità: non possedevo garanzia alcuna al di fuori del presente immediato. Il discepolo viaggiando fa esperienza di annunciare il Vangelo ad altri, viaggiando fa esperienza di incontrare sé stesso. Anch’io, sperimentando la nudità, l’assenza di assicurazioni, ho fatto esperienza di incontrare me stesso.
Il viaggio disarmante, come sosterrebbe Proust, mi ha donato uno sguardo nuovo sugli altri e su di me. Il viaggio disarmante si è rivelato un cammino verso quel porto sconosciuto, che ero io stesso, che era quella regione della mia umanità. Il viaggio è un fatto degli occhi, che chiama a rapporto l’intera esistenza. Mi conduce verso l’umanità delle persone che mi trovo di fronte, con cui mi relaziono. Mi conduce alla consapevolezza di appartenere a una condizione umana condivisa, che accomuna, che avvicina. Siamo umani perché siamo capaci di prossimità vicendevole.
Il viaggio è duplice: andare verso gli altri e andare verso sé stessi.
Carmine Carano SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato