Gesù si è preso del tempo per stare con i discepoli per aiutarli a comprendere che cosa succederà, per raccontare loro quale tipo di Messia ha scelto di essere.
Le sue parole sono molto dure, incomprensibili per i discepoli che però non hanno il coraggio di domandare nulla. Hanno paura di sapere la verità di quelle parole, sono parole che li getterebbero nel buio, nella nebbia, li obbligherebbero a mettersi in discussione. Ci sono parole che a volte ascoltiamo, ma non permettiamo che ci raggiungano, ce le lasciamo forse scivolare addosso perché se le ascoltassimo veramente, saremmo obbligati a uscire dai nostri schemi, da ciò che crediamo e ci siamo costruiti e ci metterebbero in crisi.
Gesù sa che i discepoli sono abitati da una ricerca di grandezza umana, ma non li giudica. Con amore di madre cerca di aiutarli a uscire dalla comfort zone che si sono costruiti, pone al centro un bambino, una creatura indifesa che ha bisogno e chiede di essere presa in braccio e accudita.
Chiede ai discepoli, e quindi anche a noi, di accoglierlo tra le nostre braccia con le sue paure, perché solo quando inizieremo a scardinare le logiche del potere e del primato assoluto potremo capire veramente le sue parole: la grandezza non si misura dalla forza, ma dalla debolezza.
La vita passa attraverso la morte, ma la morte non è mai l’ultima parola.
Chiara Selvatici
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato