Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 19 Settembre 2021

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Liberi di mettersi all’ultimo posto

Il Vangelo riferisce uno dei momenti di crisi tra Gesù e i discepoli.
Gesù è in viaggio verso Gerusalemme insieme ai suoi discepoli e lungo la strada parla di sé e di ciò che potrebbe accadergli. La strada è la stessa, ma i loro cuori sono su sentieri diversi. In Marco per tre volte (questa è la seconda) Gesù annuncia la sua morte e ogni volta i discepoli non comprendono. Gesù ha familiarizzato con la morte perché una cosa è sapere che si muore, un’altra è pensare che “io morirò”.
Marco annota che “non capivano queste parole” (sullo sfondo di queste parole potrebbe esserci la comunità di Marco che non riusciva ad accettare la via della croce percorsa dal Figlio dell’uomo).

I discepoli non volevano comprendere, per questo non gli facevano domande in proposito. Perché non ascoltano? Per evitare di diventare responsabili di ciò ascoltano.
Lui parla di dare la vita, annuncia la sua resurrezione e i suoi che fanno? Si preoccupano di chi sia il più grande fra loro! La teologia rabbinica aveva suddiviso in sette classi gli abitanti del paradiso e discuteva su chi sarebbe entrato nella classe più alta. Anche a Qumran si era elaborata una sorta di gerarchia nella vita dell’aldilà.

Abbiamo un innato bisogno di affermazione. Siamo onesti: anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconoscimento, gratificazione. E’ normale che sia così, di per se non è sbagliato. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita è vissuta all’insegna dell’insicurezza, alla continua ricerca di conferme.

Sono passati duemila anni eppure siamo ancora lì, a quell’incomprensione. Siamo un po’ tutti preoccupati del nostro potere (piccolo o grande che sia). Cerchiamo di guadagnarci un angolo di palcoscenico sul film della vita per saziare un po’ della nostra fame di protagonismo. Ma la cosa sorprendente è la reazione di Gesù. Ecco la novità del Vangelo: Dio capovolge gli schemi e ci chiama fuori da quelle piccolezze che noi chiamiamo normalità.

Giunto a Cafarnao (la casa in cui a Cafarnao Gesù era solito sostare era quella di Pietro) Gesù chiese loro di cosa avessero discusso lungo la via.
Ma essi “tacevano”, perché sapevano che era stata una discussione senza senso: amici, sappiamo benissimo quali pensieri, parole e opere contraddicano l’amore.
Eppure Gesù non li rimanda a casa (alzi la mano chi non avrebbe perso la pazienza!), non li incenerisce, non li rifiuta. Si siede, li chiama vicini e ricomincia di nuovo. Tenta un’altra via per correggerli: rivelare loro la sola grandezza, quella del modo di essere di Dio. Mi piace pensare che i discepoli si fossero accorti d’averla fatta davvero grossa, e si aspettassero una ramanzina di quelle memorabili e invece no. Almeno Lui, Gesù, non è così.

Alla voglia di potere dei suoi, Gesù contrappone la sua logica: «Se uno vuol essere il primo sia il servitore di tutti». Amico lettore, non è proibito voler essere il primo, non è peccato, è possibile. Gesù non proibisce il desiderio di voler essere il primo, anzi lo incoraggia. E’ il modo di realizzarlo che è diverso: non a spese degli altri, ma a favore degli altri. Infatti, aggiunge: “… si faccia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.

Solo chi è libero di mettersi all’ultimo posto è davvero il primo, perché è libero di sedersi in qualsiasi posto, dall’ultimo sino al primo. Chi invece cerca i primi posti non è libero di sedersi dove vuole perché la “bella o brutta figura”, l’”audience”, il “giudizio degli altri”, influiranno sulla sua libertà. Certo, sarà “primo” ma infelice: dinanzi a Dio conta la gioia non il risultato. Il nostro valore è assoluto. Noi valiamo a prescindere, non siamo il posto che occupiamo. Se pensiamo di valere di più perché sediamo in quel posto, è solo una pericolosa illusione.
Questi due modi di primeggiare portano a frutti diversi. Chi cerca i primi posti per affermare la sua volontà di potenza, dominerà gli altri: lui sarà felice (se ci può essere felicità in ciò), gli altri infelici; lui vincitore, gli altri sconfitti. Nel servizio invece tutti traggono giovamento della grandezza di uno. Chi è primo nel servizio, sarà grande lui e farà grandi gli altri.

La nostra inclinazione è comandare, accumulare, possedere, non certo essere servi. Eppure Gesù ricorda ai suoi che il servizio è il nome nuovo della storia. Ma questo non basta: bisogna essere «Servitore di tutti» dice Gesù, senza condizioni, senza limiti di famiglia, di gruppo, di chi lo meriti o non lo meriti.

Ma non basta ancora, c’è un altro gradino: «prese un bambino e lo mise in mezzo». Dobbiamo calarci nel contesto culturale di quel tempo. Non aveva potere, non poteva parlare, non poteva dire la sua, doveva solo ubbidire. Il più indifeso, senza diritti, il più inerme, il più debole tra i deboli! “Se non sarete così… ”: parole mai udite prima, scandalo per i giudei, follia per i greci. Se tu accogli un bambino, che è l’ultimo, accogli tutti gli altri che sono più avanti. Ai suoi che vogliono primeggiare, Gesù svela il segreto della felicità: diventate come bambini che vivono solo perché sono amati.

Che bello sapere che le nostre fragilità, che sono le stesse di un bambino, sono abbracciate da Cristo. In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere. Ecco perché siamo chiamati ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento.
Chi ama non ha bisogno di dominare. Chi ha bisogno di mettere in risalto la sua superiorità vuol dire che sta nascondendo la sua inferiorità e la camuffa con il bisogno di superiorità. Quando facciamo pesare e “notare” quello facciamo per qualcuno, stiamo tentando di dominarlo. Si domina l’altro facendogli notare i suoi limiti, i suoi sbagli e i suoi difetti.

Gesù abbraccia il più piccolo perché nessuno sia perduto. Gesù parte dal più piccolo dei piccoli perché nessuno si senta escluso.
Il mondo nuovo, nasce da un verbo ripetuto quattro volte: «Chi accoglie uno solo di questi bambini, accoglie me; chi accoglie me non accoglie me ma Colui che mi ha mandato». Ecco perché la Chiesa o è accogliente o non è. Accogliere un bambino è accogliere Dio perché il volto di Dio è il volto dell’altro.

Gesù sembra dire ai suoi: “Al centro mettete sempre l’amore”. E’ questa l’unica ragione per scegliere l’ultimo posto con la certezza che sia il primo. L’amore è l’unico motivo logico per accettare un capovolgimento illogico.
Questa è una radicale novità di pensiero, di vita.

La bella notizia di questa Domenica? Gesù abbraccia un bambino. A noi, dunque, non resta che farci prendere in braccio.

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