p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 15 Settembre 2021

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Cosa c’è di più straziante di una madre che vede il proprio figlio morire? Un genitore è tale perché dona la vita e nel momento in cui questa vita viene spezzata anche colui che ha donato la vita sente un qualcosa che si spezza in lui.

Così mi diceva una madre a cui avevano ucciso due figli: non gliel’avevano detto, ma lei lo sapeva, lei lo sentiva, lei lo intuiva. Perché c’è un legame di vita che nel momento in cui si spezza, perché vita non c’è più, le persone lo percepiscono. Al di là del vedere e del sapere, le persone che donano vita, lo sanno. È un sapere che non ha nulla a che vedere con l’illusione positivista dove ciò che vedi e ciò che tocchi è l’unica verità della vita.

C’è una verità, c’è una realtà che vive e ama e cresce e si sviluppa, oltre i nostri occhi. L’invisibile non è cosa da fantasmi, l’invisibile è cosa da amanti, è cosa da gente che ama la vita e percepisce il suo battito nascosto, che sottostà ad ogni movimento di vita che noi vediamo. Ed è realtà vera, ed è realtà vitale, ed è realtà essenziale.

In questo invisibile vive e cresce la vita del dolore. Un dolore che è frutto del male, un dolore che è frutto dell’amore. Un dolore che a volte è frutto di pazzia, un dolore che a volte è dovuto alla ferocia del cosiddetto amore.

Un dolore che esiste proprio laddove qualcuno ama non in modo teorico, ma in modo storico. È un amore non detto né incarnato, secondo i nostri parametri. Un amore che per l’uomo moderno sa di pazzia e odora di stoltezza. Ma è quell’amore che ha donato vita a tante generazioni e che è divenuto educativo, secondo la sapienza di Dio, per tanti che sono passati su questa terra.

Un amore che non si è fermato di fronte a nulla, un amore che nel dolore ha trovato un campo dove potersi incarnare e storicizzare. Un amore che nel dolore è divenuto storia. E nel momento in cui l’amore diviene dolore che si storicizza, esce da quell’aurea di romanticismo e di belle parole, che il più delle volte lascia il tempo che trova. Lascia il tempo che trova perché non riesce a divenire dono, passione, sofferenza, vita donata per l’altro.

Di fronte a questa madre dolorante per il figlio che muore, non possiamo pensare alle tante madri che muoiono col bimbo in braccio mentre attraversano il deserto o un tratto di mare che li separa da un mondo che è altro mondo. Non possiamo non pensare alle tante madri che sono violentate mentre i propri figli vengono uccisi. Non possiamo non andare col pensiero del nostro cuore alle tante madri che vedono i propri figli morire di fame o di una malattia che per noi occidentali è stupida, perché curabile con poco. Tante madri che vengono uccise!

Non possiamo non sentire compassione per i tanti bimbi che perdono la vita a causa della malaria. In Italia la media della mortalità infantile di bambini sotto i 5 anni è del 4 per mille. In Mozambico è del 135 per mille. Forse che agli occhi di un genitore la vita del proprio figlio ha meno valore di quella di un altro bimbo? O noi pensiamo che i nostri bambini hanno più diritto di vivere di un bimbo non dei “nostri”? Siamo così razzisti e stolti secondo Dio? Noi che ci diciamo cristiani?

Ascoltando il pianto di Maria sotto la croce siamo chiamati ad imparare ad ascoltare la sofferenza nostra e la sofferenza del mondo. Non per una forma di pietismo ma per una forma di vita.

La sofferenza è esperienza universale. Ogni uomo prima o poi la incontra: in sé, sulla propria pelle, negli altri, nelle persone che ama, in forme svariate: malattia fisica, disturbo psichico, lutto. Per quanto spiacevole e indesiderabile, la sofferenza, con la sua universalità dice qualcosa di importante sull’umano, sull’uomo. Anche il cristiano non ha vie privilegiate o scorciatoie di fronte alla sofferenza.

“Anche un cristiano non conosce alcuna strada che aggiri la sofferenza, ma piuttosto una strada – insieme con Dio – che la attraversi. Le tenebre non sono l’assenza, ma il nascondimento di Dio, in cui noi – seguendolo – lo cerchiamo e lo troviamo nuovamente” (Erika Schuchardt).

Chiediamo a Maria, oggi, di potere attraversare il buio della sofferenza sentendoci tenuti per mano da Dio. Quel Dio che anche nella sofferenza possiamo cercare e trovare. Quel Dio che possiamo sentire come il battito del cuore del mondo che vive anche, ma non solo, nella sofferenza.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM