La memoria evangelica introduce nella nostra celebrazione un ospite un po’ fuori luogo: un centurione pagano. Perché? Cos’ha da dirci quest’uomo?
Sono diversi i tratti che la figura del centurione ci consegna: anzitutto il fatto che pur essendo un occupante è rimasto persona abitata da un senso di leggerezza. L’occupante di solito è di per sé pesante, è uno che fa uso della violenza per far valere la sua presenza. Eppure questa figura non è affatto uno da guardare con sospetto o di cui aver paura. Addirittura ispira simpatia al punto che Gesù lo ammira apertamente. Certo Gesù ammirerà la sua fede ma, ancor prima, la sua umanità.
Il centurione è persona pubblica, è uno che svolge un ruolo, è uno che indossa una divisa, ma non è assorbito dal potere che quella divisa pure esprime. Quella divisa non gli impedisce di riconoscere ciò che viene prima di un ruolo: la sua umanità. Quante volte una divisa, un ruolo possono finire per relegare la persona in degli spazi che sono sottratti all’ufficialità finendo per provocare quasi una sorta di schizofrenia.
Il centurione ci dice che c’è uno spazio di umanità che va salvato da quella divisa. Ci sono dei panni di ufficialità che vanno continuamente deposti. Non ha permesso a quella divisa di abdicare al suo cuore al punto che lui pagano aiuta i Giudei di Cafarnao a costruirsi la loro sinagoga. Inoltre, il centurione è un uomo che, dentro un mondo improntato alla violenza, coltiva una incredibile mitezza e una premurosa partecipazione ai problemi tanto che quel servo è allo stesso tempo servo e figlio.
C’è ancora un ulteriore tratto che questa figura esprime e ci consegna: una sorta di pudore, di discrezione nell’esprimere i propri sentimenti e i propri desideri. Sapeva che se Gesù fosse entrato a casa sua, la casa di un pagano, si sarebbe macchiato di impurità come sapeva che a Gesù sarebbe bastato molto meno per compiere un miracolo: una sola parola. Non ha paura il centurione di sospendere la sua vita e quella del suo servo alla parola di salvezza che Gesù vorrà pronunciare: una vita sottomessa al vangelo.
Un uomo abitato da leggerezza che si esprime attraverso segni di delicatezza.
La sua è “una fede così grande”: è una fede che si apre a Dio ma che non si appropria di Dio. Qualche volta il ruolo, la divisa, possono portarci a non adorare più il mistero di cui Dio ci ha voluti partecipi, ma a servirci di Dio come fosse un idolo.
Un uomo, il centurione, capace di amicizia: l’amicizia, prima terapia dell’esistenza. La vita comincia a guarire solo quando è inserita in legami di fiducia: verso altri, ed è amicizia, verso Dio, ed è fede. Sappiamo bene che l’opposto dei legami di fiducia è il sistema del sospetto e la cultura della diffidenza.
Quando gli anziani vanno da Gesù affermano che quell’uomo meritava attenzione perché “ama il nostro popolo”.
La fede del centurione era una fede frutto di molta umiltà. Aveva un giusto sentire di sé: non sono degno…
La fede del centurione era una fede capace di evidenziare il bene. Il centurione parla dei suoi subalterni come dei buoni e come persone affidabili.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM