Chi sono io?
Tutti noi, chi più chi meno, ci misuriamo e delineiamo la nostra identità in risposta ai commenti e alle idee degli altri. Fin da piccoli ci viene insegnato come parlare, vestire e agire per essere ‘accettabili’ agli occhi degli altri. Si tratta di una buona cosa in sé, ma a volte può prendere una piega terribilmente deleteria.
Le celebrità, i campioni dello sport e i giovani possono diventare così vulnerabili alle attese e alle reazioni dei frequentatori dei social che finiscono per smarrire la propria identità, oppure si fanno un’idea piuttosto distorta della propria identità. Purtroppo, in entrambi i casi gli effetti sull’equilibrio mentale della persona sono considerevolmente negativi.
Il Vangelo di questa domenica ci insegna come trovare la nostra vera identità.
Sia ‘la gente’ che Pietro si sono fatti un’idea su chi sia Gesù. Per la gente è Giovanni il Battista, Elia o uno dei profeti tornato dai morti. Per Pietro egli è il Cristo, il Messia. Ma quel che segue rivela che Pietro e Gesù hanno idee molto diverse sull’identità del Messia.
Pur avendo ben chiaro che Gesù è il Messia, Pietro fraintende che tipo di Messia Gesù sia. Egli forse voleva un Messia regale e guerriero, potente e glorioso. Non può immaginare come questo suo Messia finisca per morire nel modo annunciato da Gesù.
Gesù chiama Pietro ‘Satana’. Per cogliere la vera identità di Gesù e cominciare a sintonizzarsi con il cuore di Dio, Pietro deve ‘andare dietro’ (seguire) Gesù.
Ciò che si chiede a questi discepoli è la rinuncia alla loro falsa identità (spesso definita da quello che possediamo o dal lavoro che facciamo, dalle nostre delusioni) per scoprire la loro autentica identità di figli e figlie di Dio, da lui amati, tramite una vita donata agli altri nel servizio generoso (prendere la propria croce).
Spesso mi rendo conto che i genitori sono un ottimo esempio di quanto si sta dicendo, perché devono costantemente dimenticare se stessi, le proprie esigenze, speranze o desideri e sacrificare tempo, energie e denaro per prendersi cura con amore dei propri figli. È facendo questo che spesso scoprono il meglio di se stessi.
Nel Vangelo, Gesù, il vero Messia, si mostra non come un glorioso Re divino, bensì come il Servo sofferente di Dio, del quale parla Isaia nella prima lettura. La via della sequela non è questione di auto glorificazione, ma di servizio autentico, nella scoperta della nostra vera identità di figli e figlie di Dio, da lui amati.
Come discepoli di Gesù cerchiamo di vivere la nostra vita come occasione per servire i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo. Ma non è possibile far questo fino a quando, imprescindibilmente, non realizziamo la nostra chiamata e la nostra vera identità di popolo di Dio.
È allora che diventiamo una sorgente di amore, misericordia, speranza, compassione, giustizia, verità, sollecitudine e operatività cristiana come servi di Dio e a servizio gli uni degli altri. Ecco cosa significa FARE il Vangelo.
Riflessione tratta dal sussidio dei Carmelitani di Australia e Timor-Leste
Mongolo1984, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons