Gesù ha parlato di pani fino a ieri. Ora fa il passo in avanti dell’essere pane e del donare il pane ponendosi in gioco per una guarigione.
Il sordomuto non può parlare perché “ha orecchie e non ode”; così come il cieco “ha occhi e non vede”. Siamo noi, sono i suoi discepoli, che dopo avere esperimentato i pani manifestiamo tutta la non comprensione dei pani.
Gesù è necessario per aprire i nostri orecchi in modo che, guariti dalla sordità, possiamo anche parlare e riconoscerci nella fede in Gesù si manifesta nei pani.
L’invito di Gesù a noi è chiaro: ascoltatemi e capite! Questo invito si incontra con la nostra realtà che è data dall’essere “hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono”. Credo sia importante tenere presente che la cecità e la sordità necessitano del tocco di Gesù per ritornare a vedere e udire.
Gesù non ricerca il successo con la folla, per questo prende “in disparte, lontano dalla folla”. Non è alla ricerca di entusiasmi tropo spesso equivoci.
Anche chi deve udire e vedere, deve separarsi dalla folla. Questo fatto, possiamo rendercene conto, ci dice che in nessun luogo umano è dato di udire e vedere. Il nostro non vedere e udire chi Gesù Cristo è, non è cosa che noi comprendiamo.
La guarigione del sordomuto avviene in due momenti: Gesù apre gli orecchi al sordo così che possa udire ciò che orecchio non udì! Ritorniamo ad udire, grazie a Gesù, perché Gesù opera per aprirci il cuore rendendoci in grado di accogliere la Parola.
Possiamo renderci conto che la fede viene dall’ascolto. Grazie all’ascolto nasce la parola. Riacquistare la bellezza dell’udito è via sana per sciogliere il nodo della lingua, ritornando a parlare correttamente e a comunicare con i fratelli.
È importante cogliere che Gesù, perché questo avvenga, pone la sua saliva sulla lingua del muto. Questo è segno dello Spirito che Gesù comunica in modo semplice e umano.
Il dono dello Spirito è via per recepire la nuova Parola. Se ci pensiamo questa è l’esperienza dei discepoli a Pentecoste quando, grazie al dono dello Spirito, tutti capirono ciò che il Signore aveva detto loro. Proprio lì, ci viene comunicato, “si sciolse il nodo della loro lingua e cominciarono a parlare”.
Guarire nell’udito è via per ritornare ad ascoltare diventando di nuovo capaci di parlare. Ciò che fa unione tra udire e parlare è lo Spirito. Se non vi è questo vi può essere una religione che ha come base il fatto che l’ascolto è semplice lettera che uccide, da cui ci difendiamo dicendo che non la capisco o che è cosa lontana, non certo che sia uno Spirito che ci rende vivi.
L’invito a vivere il silenzio, essere capaci di tacere, è aprire l’udito e dischiudere il cuore.
Possiamo ancora credere che Lui “ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parlare i muti”?
Come possiamo credere a questo, noi che abbiamo un’immagine distorta di Dio considerandolo, non in teoria ma in pratica, antagonista dell’uomo? Ci paralizziamo rendendoci incapaci di vedere il suo vero volto rivelato in Gesù. Il volto di Dio che fa spezzare il pane e fa amare, che fa udire e fa parlare, è un Dio che rinnova continuamente la fede dell’impossibile; alimenta la speranza contro ogni speranza; ama sapendo che l’amore non viene mai meno.
In Lui e per Lui la nostra vita, sorda e chiusa nel proprio grigiore, si apre ad un orizzonte nuovo di libertà, difficilmente colta da noi.
Salta all’evidenza il fatto che spesso noi abbiamo una concezione di Dio perfetta dove il nostro parlare è un parlare legato ad un concetto esatto ma sempre meno vitale. La nostra lingua non esprime nulla, è come la lingua di un muto. Capita spesso quando noi, avendo una fede giusta, non abbiamo un modo di essere e di fare che corrisponda alla teoria che sappiamo. In fondo ci ritroviamo con una non coerenza tra pensiero e ciò che facciamo, ci ritroviamo non a vivere in realtà il pane spezzato.
Cosa fa la nostra parola? Spesso è un barbugliare di cui non si capisce nulla, anche se le nostre idee sono buone e giuste. La parola pensata non risponde a quella detta, così la fede non corrisponde alla realtà che viviamo. La parola vive la liberazione grazie alla liberazione del pane.
La liberazione non è frutto del pane rubato ai poveri che vengono sfruttati e che non possono cogliere il nostro linguaggio: un linguaggio che troppo spesso è difensivo di noi stessi piuttosto che del povero. Un linguaggio che è più consono col sordo muto che con la parola cantata e vissuta.
Se il seme della parola rimane in noi come seme rimasto per aria, che non ha attecchito a nessun terreno, notiamo che la parola rimane cosa senza radici, vuota di significato, incapace di incidere sulla realtà, tanto più incapace di trasformare la nostra realtà.
Questo capita proprio perché siamo sordi, incapaci di comprendere e di vivere Cristo e il suo messaggio. È vitale ritornare ad ascoltare la sua parola, a vivere sul serio il suo vangelo. È importante liberare il pane tenuto prigioniero dalle nostre ideologie. Così la parola vive libera e ci rende capaci di comunicare alla gente parola di libertà. Così anche gli altri potranno intenderla facendo concretezza della parola vera che ci ricorda, come dono di fede, che Dio libera.
Tutto questo diventa un invito alla speranza. Le nostre comunità sono malate, sono sorde e mute, non ascoltano e non dicono più la parola. Non serve illuderci di essere i sani che ascoltano e dicono la Parola perché non è che noi ci auto-salviamo.
Facciamo memoria che Qualcuno ci prende con sé, ci porta fuori dal villaggio, ci apre le orecchie e scioglie il nodo della nostra lingua. Così posiamo contemplare insieme che ciò che dice Gesù fa fiorire il bene e la speranza.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM