Commento al Vangelo di domenica 5 Settembre 2021 – Comunità di Pulsano

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DOMENICA «DELLA GUARIGIONE DEL SORDOMUTO»

La guarigione del sordomuto ci invita a riflettere non solo sul significato drammatico di una infermità che isola una persona dalla vita comunitaria, affettiva e sociale in genere ma soprattutto su una guarigione che opera non solo sul piano puramente fisico ma molto di più sul piano dello Spirito guarendo coscienze, sanando relazioni, aprendo modalità più ampie di comunione. Ci sono casi tragici di bambini condannati alla solitudine perché ciechi, sordi e muti dalla nascita. L’impegno e l’abilità degli specialisti del linguaggio riescono a volte ad aprire loro il mondo dei segni e della parola. Ma quando gli occhi, le orecchie e la lingua del cuore sono bloccati? Quante persone, quante coppie che non si capiscono, che non si parlano più! Quanti «dialoghi fra sordi» tra individui, gruppi, istituzioni o nazioni, quando viene meno la fiducia reciproca e non si è più capaci di accettare gli altri con la loro fragilità, ma anche con ciò che portano in sé di più prezioso!

Pensando a tutte queste situazioni, possiamo cogliere più facilmente il valore simbolico della guarigione del sordomuto. Dopo essersi scontrato col popolo eletto, sordo alla sua predicazione e ai suoi inviti a cambiar vita, Gesù è passato in terra pagana. Il messia è venuto per occuparsi delle orecchie e della lingua degli uomini (Is 35,5-6): li vuole responsabili, capaci di ascoltare e di entrare nel dialogo della salvezza avviato dall’alleanza di Dio col suo popolo. Di fronte a tutti gli atteggiamenti di chiusura e di ripiegamento su se stessi — la reazione dei ricchi, degli orgogliosi, di quelli che non vogliono rinunciare al potere e anche la nostra, ogni volta che l’evangelo chiama in causa la nostra leggerezza, la nostra presunzione, il nostro egoismo — Gesù ordina: «Apriti!».

Apriti ad ascoltare e ad accogliere gli insegnamenti dell’evangelo! Apriti a dire la tua fede con tutta la tua vita! Apriti a tradurre in pratica il Padre nostro che ripeti ogni giorno! Se questo avvenisse, la nostra esistenza diventerebbe trasparente e rimanderebbe senza fatica a Gesù Cristo. Tutti allora potrebbero dire, con le folle dell’evangelo: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 118,137.124

Tu sei giusto, Signore, e sono retti i tuoi giudizi:

agisci con il tuo servo secondo il tuo amore.

 

Canto all’Evangelo Cfr. Mt 4,23

Alleluia, alleluia.

Gesù annunciava l’evangelo del Regno

e guariva ogni sorta di infermità nel popolo.

Alleluia.

L’antif. D’ingresso e il canto all’evangelo preparano l’assemblea all’ascolto della Parola che produce Giustizia, Rettitudine e preparano a ricevere la Sua Misericordia. La lunga contemplazione delle Realtà Divine a partire dalla Parola induce l’orante al supremo riconoscimento di Gesù unico giusto che con ogni suo giudizio dà il bene ai giusti.

I lettura: Is 35,1-10

I 10 versetti del cap. 35 di Isaia formano un oracolo poetico, che annuncia, cantando di gioia, l’intervento del Signore che viene per riscattare il suo popolo minacciato nella sua esistenza dal nemico che lo ha deportato. Egli produce divinamente condizioni nuove di esistenza, la creazione diventerà paradisiaca e i suoi fedeli saranno avviati sulla strada aperta nel deserto, che li condurrà alla Sion rinnovata. Ma prima essi saranno tutti risanati da ogni male (accordo con l’Evangelo). Dio ci viene incontro. Isaia con alcuni esempi simbolici straordinariamente vivaci illustra gli effetti della presenza di Dio fra gli uomini: la primavera rifiorisce, la guarigione si annuncia, ritorna il coraggio; un popolo ritrova la sua libertà; gli esiliati tornano in patria; l’uomo incontra i fratelli lontani; gli occhi del cieco si aprono, il sordo può sentire, il muto scioglie la sua lingua per alzare grida di gioia. Tutto questo, Gesù l’ha fatto, rivelandoci cosi il Padre e i suoi fedeli riuniti nella Chiesa hanno la stessa missione.

Questo breve capitolo descrive in forme smaglianti la Venuta del Signore, che visita, trasforma e salva il popolo suo. Il momento è drammatico e teso. Si era avuta già una minaccia della strapotente Assiria, che nel sec. 8° a. C. aveva raggiunto uno dei culmini della sua egemonia in tutto l’Oriente (Is 30,27-33). Ma dal Profeta era stata anche preannunciata la sua rovina, come puntualmente avvenne nel secolo dopo. Il Signore aveva ammonito il suo popolo a non contrarre alleanze umane, come quella con l’Egitto, che a nulla valgono (31,1-3), poiché l’unico aiuto sta in Lui se accolto con fiducia, nonostante tutto (31,4-9). Egli porterà soccorso mediante un Re giusto (31,1-33,1), per cui lo Spirito del Signore sarà effuso sul popolo (32,15). Ora il Signore stesso si pone come invincibile baluardo in favore di Gerusalemme (33,7-24) e la libererà anche dall’insidia dei nemici vicini, il temibile Edom (34,1-17). Per operare tutto questo, Egli viene di persona (cap. 35). Gli effetti della sua venuta saranno poi visibili nei cap. 36-37, il re assiro Sennacherib nulla potrà contro Gerusalemme, ma dovrà ritirarsi con una disfatta terribile e misteriosa, e cadrà anche assassinato dai figli.

Ecco l’inquadramento del cap. 35, tutto in simboli e poesia. Il Signore opera sulla sua creatura, docile al suo comando e la trasforma. Già produsse spine e triboli per colpa dell’uomo (Gen 3,17-19), adesso essa tornerà a essere quello a cui il Disegno iniziale l’aveva destinata, un paradiso lussureggiante. Perciò il Profeta chiama a testimoni deserto, terra arida e steppa e anzitutto a gioire (già in 32,15, per lo Spinto del Signore; poi 55,12-13), poi a fiorire come i narcisi, che sbocciano in primavera (v, 1). Infatti il triste inverno è terminato, si apre il tempo nuovo della salvezza, come altri Profeti avevano annunciato (Os 14,6; circa coevo d’Isaia). La creazione è di nuovo invitata a gioire e a cantare la lode al Signore, per due motivi in crescendo, per avere adesso ottenuto lo splendore del favoloso Libano, con la sua vegetazione gigantesca e la fertilità del Carmelo e dello Sharon, terre rinomate per le culture; queste immagini sono comuni nell’A. T. (la gloria del Libano, Is 60,13 ; Ct 5,15 ; Sal 91,13 ; la bellezza del Carmelo, Ct 7,5; la fertilità dello Sharon, Is 33,9). Il secondo motivo è che tutta la creazione vedrà la teofania splendente, la Gloria del Signore (40,5), che viene con tutta la sua immane potenza (v. 2).

Però questa creazione trasfigurata è solo un mezzo, destinato al popolo di Dio, adesso tremante per la minaccia nemica. Le mani dei soldati sono esortate a diventare forti per la visione nuova, e le loro ginocchia malferme a diventare salde (v. 3). Questi guerrieri, un nucleo sparuto di fronte all’armata assira, a loro volta i rincuoreranno il loro popolo, dovranno annunciare: «Ecco il Dio vostro. Egli porta vendetta contro i nemici e ricompensa per i suoi fedeli. Viene e salva!» Perciò l’esortazione: «Coraggio, non temete!» (v. 4). Il Signore stesso in realtà renderà forti le mani deboli (Giob 4,3-4; Sir 25,32; Sal 3,16; anche Ebr 12,12). Egli stesso parla al debole, annunciando la giusta vendetta contro l’iniquo (Sal 93,1; Is 40,10-11), Come Egli stesso viene per salvare.

La visione della Venuta gloriosa, con la trasformazione dei deboli, produrrà nel popolo una serie di conseguenze, che stanno in nesso con la trasformazione della creazione. Il Signore apre gli occhi ai ciechi (29,18; 32,3.4; Ger 31,8) e le orecchie ai sordi (v. 5, sopra, l’Evangelo), in realtà, a quanti non volevano vedere e non volevano ascoltare. Renderà anche abili e agili come cervi gli zoppi, ossia quanti non volevano procedere sulle sue vie e farà cantare la lode al muto, ossia colui che si era chiuso al suo Signore e ai fratelli. Questo avverrà alla sola visione offerta dal Signore, delle acque feconde che ormai saranno abbondanti nel deserto e dove regnava la sterilità della terra (v. 6). Saranno tante le acque, che si formeranno vegetazioni palustri fitte e fonde, dove prima vagavano affamati e sitibondi i repugnanti sciacalli del deserto (v. 7). È così ampliata la visione del v. 1 (anche 41,18; 43,19; 44,3-4; Ger 31,9).

I vv. 8-9 (fuori della pericope cf III Dom. avvento A) descrivono la «via sacra» che il Signore costruirà in questo Eden nuovo. Essa non sarà transitata che dai purificati e sapienti (v. 8), e da nessuna delle belve feroci che prima popolavano quel deserto. Sarà il percorso sacro solo dei redenti (v. 9). Questi fortunati liberati dal Signore adesso tornano a Sion (51,11; 62.12). e nella loro processione santa canteranno la lode al Signore (48,20; 55,12; Sal 125,6). I loro volti saranno illuminati dalla gioia divina indistruttibile, eterna (65,19; 25,8). Su essi da parte del Signore si poseranno la gioia e l’esultanza (51,3; 60,20) e tra loro non esisteranno più dolore né gemito (v. 10; Ap 7,17, con l’Agnello; e 21,4, nella Gerusalemme celeste). Questa grandiosa profezia si è adempiuta nel Signore Gesù (cf Mt 11,2-6).

Salmo responsoriale: 145,7.8-9a.9bc-10, I

Loda il Signore, anima mia“. Chiamati ancora ad unirci all’orante del salmo 145 il salmo responsoriale è il primo dei cinque salmi “alleluiatici” che chiudono il salterio) che esorta se stesso a lodare il Dio salvatore per le sue opere a favore degli uomini, oppressi, affamati, prigionieri, ciechi e storpi, conosciamo i «segni» che individuano il Messia: «difende gli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri, apre gli occhi ai ciechi, provvede all’orfano e alla vedova…».

Il Sal 145 (purtroppo oggi ancora amputato) è una una prima descrizione poetica delle opere divine. Esso è stato già presentato per la Domenica III d’Avvento e per la Domenica IV per l’Anno del Ciclo A. L’Orante chiama beato il popolo che ha come Aiuto il Dio di Giacobbe e la speranza nel Signore Dio (v. 5), il quale creò il cielo e la terra e il mare e i viventi in esso (v. 6). Il v. 7 ha 4 emistichi, ciascuno dei quali enuncia un’opera divina per i viventi. All’interno del creato il Signore si cura in specie degli uomini, le sue creature dilette e verso essi custodisce la sua divina fedeltà (la “verità”) in eterno (Sal 99,5; 116,1). Perciò interviene a soccorrere con misericordia (il «fare giudizio») verso i vessati dalle iniquità degli altri (Sal 102,6). E si preoccupa inoltre degli affamati e li nutre giorno per giorno, motivo questo ricorrente (Sal 103,27; 106,9; 144,15). E viene con premura e con potenza a sciogliere le catene dei prigionieri per rimandarli liberi (Is 61,1, con il suo Spirito del Signore; Sal 67,7).

Il Signore vede però anche i mali che affliggono gli uomini e il più grave tra essi è la cecità, ed ecco il Signore ridare la luce ai ciechi (Is 29,18; 35,5; Mt 9,30; Mc 7,31-37; Gv 9,7). Ristabilisce poi nel loro portamento normale quelli che la malattia ha rattrappito (Sal 144,14; 146,6; Lc 13,10-17). E su questo si leva l’amore del Signore per i suoi “giusti” (Sal 10,8), ossia i misericordiosi (v. 8).

Per un altro aspetto della divina Misericordia il Signore custodisce Lui lo straniero e pellegrino, che deve essere amato secondo la Legge santa (Es 22,21-22; Dt 10,18-19), e che invece non è accolto, è disprezzato, è angariato. Egli è «il Padre dei poveri e il Giudice delle vedove» (Sal 67,6), quindi riscatta di persona gli orfani e le vedove, facile oggetto di iniquità di ogni genere. E allora dissipa i progetti e le operazioni malvage dei peccatori (Sal 146,6), salvando i buoni e gli oppressi (v. 9).

Questo è il modo divino di regnare (Sal 146,6) sull’universo, dove “regnare” significa sempre l’intervento misericordioso del Sovrano verso tutti i suoi sudditi, animati e inanimati. Egli è il Signore che ha sancito l’alleanza fedele con Sion, che perdura immutabile e feconda di opere e di bene lungo le generazioni del popolo di Dio (v. 10).

Evangelo

L’Evangelo di Marco presenta questa Domenica il Signore che si manifesta come Re messianico, mentre nella Potenza dello Spirito Santo opera una guarigione prodigiosa e restituisce un uomo gravemente menomato, escluso dalla convivenza umana, alla condizione umana intesa dal divino Disegno.

Tema dominante della liturgia odierna sono infatti i miracoli: i sordi odono e i muti parlano, ma questi miracoli fisici sono posti come segno dei miracoli spirituali che ci rendono idonei all’ascolto e alla proclamazione della Parola di Dio. Ricordiamo come il Signore all’inizio della sua Vita pubblica tra gli uomini dal Padre è battezzato con lo Spirito Santo e consacrato come Profeta per l’annuncio dell’Evangelo, come Re per compiere le opere della Carità del Regno, come Sacerdote per riportare tutti al culto al Padre suo, e come Sposo per acquistarsi la Sposa d’Amore e di Sangue. Lungo il Tempo Ordinario, privilegiato tra tutti gli altri dell’Anno liturgico, noi celebriamo Cristo Signore Risorto, mentre Lo contempliamo in uno degli episodi della sua Vita tra gli uomini, quando insegna, o opera, o prega.

L’episodio narrato nell’evangelo (senza paralleli in Matteo e Luca) rientra nel genere dei «racconti di guarigione»; Gesù è presentato come un taumaturgo, una delle identificazioni più diffuse della sua persona e anche uno degli aspetti del suo ministero più adatto a colpire le folle.

Gesù tuttavia non è stato solamente un guaritore; egli non opera prodigi per suscitare ammirazione o consenso. I miracoli nell’evangelo di Marco sono dei segni che attestano la presenza del messia nella comunità e si basano sulle profezie dell’A,T. (nella I lettura Isaia li annuncia fra le caratteristiche dei tempi messianici).

Esaminiamo il brano

31 – «uscito dal territorio di Tiro»: Alcuni particolari del racconto ci possono aiutare a comprendere meglio il messaggio: Gesù proveniente da Tiro e Sidone si trova ormai da alcuni giorni nel territorio della Decapoli, una regione pagana fuori dai confini d’Israele.

Il Signore è rientrato dai confini dì Tiro, dove era avvenuto lo straordinario e commovente incontro con la madre cananea o sira-fenicia e sulla grande fede di lei le aveva guarito la figlia gravemente malata (Mc 7,24-30). In un itinerario tortuoso passa per Sidone, che sta al settentrione di Tiro e giunge ad occidente del Lago di Gennesaret, nella Decapoli, che era una terra appartenuta inizialmente alle tribù di Manasse e di Gad, ma ormai quasi del tutto paganizzata.

32 – «gli condussero un sordomuto»: kōphòn kaì mogilálon; il malato è un sordo (kōphòn) che per ulteriore disgrazia è anche balbuziente (mogilálon), la parola greca mogilálos alla lettera indica chi “parla stentatamente”, con difficoltà, come se avesse un nodo alla lingua; forse non era sordo dalla nascita ma lo era diventato. Nella Bibbia è considerata una condizione tragica (Sal 38,14: «Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca») e descrive accuratamente la condizione di quelli che ancor oggi sono sordi dalla nascita. Tra le opere grandi e prodigiose che il Signore aveva promesso nell’era della redenzione, si attendevano le guarigioni dei ciechi, dei sordi, degli zoppi e del muti. Nella Bibbia questa parola greca la troviamo solo qui e nel testo dei LXX di Isaia 35,5-6. da questa coincidenza è logico pensare che l’evangelista Marco voglia sottolineare che Gesù è il Messia e che il miracolo che ora sta per narrare è rivelazione di Gesù-Messia.

La malattia ricorda anche le speranze degli esiliati che rimpatriavano in Is 35,5-6: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi… griderà di gioia la lingua del muto» (vedi anche Is 42,19). Il linguaggio usato riecheggia anche le parole rivolte da Dio a Mose che si dichiarava “impacciato di lingua” in Es 4,11: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore?». Questa allusione dà al racconto di Marco una dimensione cristologica: Gesù, come il Signore, ha il potere sull’udito e sulla parola.

«pregandolo»: Gli uomini che conducono il sordomuto hanno fede, e pregano Gesù di imporre la mano a quel malato, conoscendo il potere di guarigione che possiede, ormai noto dappertutto, anche in questa terra lontana (cf. 5,23).

La sordità e il mutismo, allora come ancora oggi, sono affezioni tra le più gravi, che procurano una tremenda sofferenza al malato, che resta tagliato fuori dalla comunicazione con il mondo degli uomini e lo fa precipitare in quell’abisso anche interiore che è l’isolamento dal consorzio umano.

Per un Ebreo (ancora di più) si trattava di una vera tragedia anche religiosa, perché il sordo non poteva ascoltare la Legge santa di continuo proclamata e non poteva cantare le lodi al suo Signore.

«e lo pregarono di imporgli la mano»: Il greco per «pregare» (parakaléō) ha diverse connotazioni. Letteralmente significa «chiamare accanto», con il senso di richiedere un avvocato o difensore (vedi «Paraclito» in Giovanni) e per estensione «pregare, implorare, chiedere». La richiesta della guarigione fa parte del normale schema di un miracolo e il verbo parakaléō è usato in modo analogo in 1,40; 5,23 e 8,22. La guarigione mediante il tocco è un altro motivo ricorrente negli episodi miracolosi marciani (1,31.41; 5,23; 5,41; 8,22; 9,27).

33 – 34 – «Presolo in disparte, lontano dalla folla»: Questa è un’altra espressione marciana duplicata (o meglio triplicata): «presolo in disparte» (apolambánō), «lontano [in privato]» (kat᾽ idían), «dalla folla» (óchlos) . In tutti gli altri casi kat᾽ idían è usato per Gesù che si ritira in privato con i suoi discepoli (4,34; 6,31-32; 9,2.28; 13,3). Questo atto di Gesù viene citato a sostegno della teoria del segreto messianico, ma è soltanto qui e in 8,22-26 che Gesù prende da parte qualcuno per una guarigione.

Approfondiamo e segnaliamo altri particolari utili alla comprensione della pericope:

il sordomuto è condotto in disparte: l’espressione richiama l’abitudine che Gesù aveva di istruire i suoi discepoli in disparte (cf. 4,10.34; 6,31.31; ecc.). Quello che qui avviene è quindi qualcosa che interessa i discepoli che stanno con lui (cf. 3,13) e che stentano a capire quanto egli compie (cf. 6,51-52; 7,18). Da Lui noi riceviamo l’udito e la Parola: cioè ascoltiamo ciò che dobbiamo annunciare. Questa riflessione dovrebbe farci rivedere tanta nostra catechesi o… evangelizzazione!

Gesù opera attraverso gesti e parole: i lettori (ma non la folla, che non è presente) vengono a sapere che questa guarigione è accompagnata da sei azioni di Gesù: prendere da parte, mettere le dita negli orecchi, sputare, toccare la lingua, emettere un sospiro e infine il comando che opera la guarigione. Suggestiva è la riflessione che collega il lavoro della creazione (cfr. sei giorni nel racconto della libro della Genesi) ai sei gesti e la Parola al settimo giorno che è l’uomo che incontra e vive la pienezza con Dio.

Gesù alza gli occhi al cielo e geme: il verbo greco stenázō che traduce “un gemito indistinto”, manifesta la profonda compassione che il malato faceva a Gesù, è usato solo qui negli evangeli, ma lo ritroviamo in Paolo per esprimere l’attesa della salvezza (cf. Rm 8,22-23).

Dopo il miracolo della donna siro-fenicia (cf. 7,24-30 e 5,1-20 guarigione dell’indemoniato di Gerasa), ancora un prodigio per i pagani segno di quell’apertura universale a cui la Chiesa delle origini si abitua a fatica [cf. nel libro degli Atti la conversione di Cornelio (c. 10) e il “concilio di Gerusalemme” (c. 15); le tensioni tra Pietro e Paolo (cf. Gal 2,1 lss); ecc.].

Gesù non è un mago o un taumaturgo che dà spettacolo eppure in quest’occasione dà l’impressione di agire come uno di loro abbinando ai gesti (porta l’ammalato in disparte, gli pone le dita nelle orecchie, gli pone la propria saliva sulla lingua) parole strane.

Per la nostra comprensione occorre conoscere a fondo la narrazione biblica, e dato che si tratta di un gesto del tutto privato, è esclusa sia la stregoneria, sia la ciarlataneria, che si fanno in pubblico, con esibizionismo che attira altri clienti.

Gesù attraverso quei gesti insegna qualcosa alla sua comunità:

Egli prende per mano il sordomuto e lo porta in disparte, come farà con il cieco di Betsaida (8,23), gli pone le dita immacolate dentro le orecchie, poi con la sua saliva tocca la lingua dell’uomo. Questo proprio per mostrare che non guarisce con questi gesti. Infatti adesso con un gesto sacerdotale alza gli occhi al Padre suo nei cieli (Mt 14,19; Gv 11,41; 17,1 la Preghiera sacerdotale) e prega un’epiclesi per il malato, poi geme, sospira e pronuncia l’imperativo: Effata: trascrizione del verbo aramaico (la lingua materna di Gesù) ‘eppatah (da ptah = aprire). È un imperativo aoristo (come non era prima ma dovrà essere per il futuro). Il termine aramaico è entrato presto, assieme al gesto di toccare le orecchie e la lingua, nel rito battesimale antico di Milano e di Roma.

«emise un sospiro»: i particolari del racconto di Marco descrivono vividamente e con arditezza i sentimenti del Maestro.

Il Signore spesso freme di indignazione, come qui, o di ira, e sempre in occasione sia del rifiuto con cui è accolto (Mc 8,12), sia di un male, come qui, sia della morte, come nel caso di Lazzaro (Gv 11,33.35.38). Si tratta sempre non di moti di collera incontrollata, bensì della sua acuta coscienza divina e umana del male degli uomini che ama, poiché il Male è il suo Nemico, dietro il male fisico o morale si nasconde in qualche modo la potenza demonica che cerca di tenere gli uomini schiavi nello spirito o nel fisico.

«Effatà»: dopo avere pregato, nella Potenza dello Spirito Santo parla al sordomuto in aramaico: effatà, che in traduzione evangelica significa “Apriti! “. Questa voce è conservata anche nel testo greco non per la sua forza magica (supposizione gratuita), ma per la sua efficacia rappresentativa e per la vivacità tipica del racconto marciano. L’uso di espressioni straniere per gli incantesimi è un motivo frequente nei papiri magici e negli esorcismi, ma tali espressioni in genere hanno la forma di «abracadabra» incomprensibili. Qualunque sia la funzione del termine aramaico nella tradizione pre-marciana, Marco la rende intelligibile con la sua traduzione («Apriti!»), di modo che l’espressione serve da comando autorevole che libera l’uomo dalla sua infermità anziché servire da misterioso incantesimo magico. Nell’ordine battesimale esiste ancora per i catecumeni il “rito dell’Effatà”, che ha traversato i secoli.

I gesti di Gesù assumono quindi un ruolo sacramentale e vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, di Dio. La Chiesa ha compreso l’insegnamento di Gesù e compie quei gesti sui candidati al battesimo; questo è anche il contesto di lettura ecclesiale del racconto miracoloso.

Celebrati  ora nella Chiesa, i miracoli di Cristo conservano tutta la loro attualità, in quanto parlano al cuore e alla nostra intelligenza spirituale e ci rivelano la presenza e l’azione di Dìo nel mondo e in noi, oggi.

35 – «E si aprirono…»: Il sordomuto riceve all’istante l’udito e si scioglie finalmente la sua lingua e può parlare correttamente. Marco dice letteralmente che «l’udito» (akoaí) dell’uomo si è aperto, invece di usare óta, il termine che designa propriamente gli orecchi.

36 – 37 – «comandò loro…»: Il Signore gli ordina di non propalare il fatto (1,44; 9,8), proprio perché non vuole il clamore che solitamente si alza intorno al taumaturgo. Tuttavia il miracolo non può essere nascosto e i parenti e gli amici del sanato e la folla non poteva contenere l’entusiasmo e annunciano l’avvenuto come e dove possono, nella loro meraviglia crescente, che si esprime forse alludendo a Is 35,4-5, proclamando che Gesù opera bene qualunque fatto e dona di nuovo l’udito ai sordi e la parola ai muti.

«più essi lo proclamavano»: il «proclamare» (kērýssō) ha una connotazione religiosa ed è associato con il messaggio di Gesù riguardo a Dio e anche con il messaggio della Chiesa dopo la risurrezione riguardo a Gesù. In Marco la «proclamazione» è fatta da vari personaggi: Giovanni il Battista (1,4.7), Gesù (1,14-15.38-39), la gente che ha sperimentato l’effetto dei prodigi di Gesù (1,45; 5,20; 7,36), i discepoli (3,14; 6,12), la comunità sotto la persecuzione (13,10) e la comunità dopo la risurrezione di Gesù (14,9).

Il nostro battesimo e il dono dello Spirito ci fa idonei all’ascolto e alla proclamazione dell’Evangelo esattamente come è accaduto nel racconto di Marco per il pagano sordomuto. I miracoli narrati nell’evangelo sono la descrizione sensibile e la garanzia dei prodigi spirituali che il Signore compie ora nelle anime per mezzo dei sacramenti. Con essi, Dio ci dona non tanto un prolungamento ed un benessere per la vita temporale ma la vita eterna per l’anima e il corpo.

«Ha fatto bene ogni cosa»: Il linguaggio usato qui (kalō̂s pánta pepoíēken) riecheggia la versione LXX di Gen 1,31: «Dio vide quanto aveva fatto (epoíēsen), ed ecco, era cosa molto buona (kalà lían)». L’intervento di Gesù restaura i guasti del creato ed anticipa l’era messianica.

La conclusione del racconto con l’acclamazione della folla che si risolve nell’entusiasmo, ma non in un’adesione di fede ci impone tuttavia una riflessione personale: possiamo essere “sordi e muti” alla Parola di Dio e dirci cristiani? Non ci lasciamo spesso abbagliare da ciò che è solo esteriorità e dimenticando che Dio «preferisce i poveri nel mondo per farli ricchi nella fede ed eredi nel regno» (cfr. II Lett) testimoniamo solo il nostro egoismo? Tuttavia sempre la misericordia divina è più grande. Prima di chiudere con la preghiera di II Colletta ecco una riflessione patristica:

«La potenza divina, che noi non possiamo toccare, discendendo sulla terra ha preso un corpo, perché la nostra debolezza la potesse raggiungere, e intuire la divinità toccando l’umanità. Il sordomuto guarito dal Cristo sentì le sue dita di carne toccargli le orecchie e la lingua. Ma quando la sua lingua si sciolse e le sue orecchie si aprirono, attraverso quelle dita accessibili ai suoi sensi egli raggiunse la divinità inaccessibile. Lo stesso artefice del suo corpo era venuto a lui; l’aveva trovato sordo, e con voce dolce, senza il minimo dolore, gli aveva aperto le orecchie; e subito dalla sua gola occlusa, incapace di lasciar passare la voce, era sgorgata la lode di colui che con una parola l’aveva guarito. …Gesù mise la sua saliva sulle orecchie del sordo, così come aveva fatto con gli occhi del cieco nato. Questo gesto lascia capire che entrambi erano affetti da una tara originaria, e che soltanto una sostanza presa dal corpo stesso dell’artefice poteva portare a termine l’opera incompleta. …Dunque il suo corpo ebbe una parte reale nella guarigione degli infermi, senza per questo esserne diminuito in nulla. Il Signore agisce ancora in questo modo con noi, quando dona se stesso come cibo agli uomini, sotto il segno di un pane offerto a tutti. Alle persone che mancavano di qualcosa, egli donava ciò di cui erano prive; ai mortali egli dona la vita; e poiché volle portare a compimento la natura incompiuta per mezzo del suo corpo, in cui dimorava ogni perfezione, possiamo essere certi che per mezzo di quel medesimo corpo, in cui dimora la vita, egli farà vivere coloro che sono soggetti alla morte». (S. Efrem)

Facciamo nostra ora la preghiera di colletta perché si sciolgano le nostre lingue incapaci di pregarti e possiamo così cantare le tue meraviglie:

II Colletta

O Padre, che scegli i piccoli e i poveri

per farli ricchi nella fede

 ed eredi del tuo regno,

aiutaci a dire la tua parola di coraggio

a tutti gli smarriti di cuore,

perché si sciolgano le loro lingue

e tanta umanità malata,

incapace perfino di pregarti,

canti con noi le tue meraviglie.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…