Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 3 Settembre 2021

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«Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».

Gesù è sovente messo alla prova con domande assai insidiose. Di che cosa lo accusano ora? Lo accusano di non digiunare e di non aver insegnato a digiunare ai suoi discepoli. I discepoli di Giovanni digiunano e fanno preghiere. I discepoli dei farisei digiunano. I tuoi discepoli invece mangiano e bevono. Se tu sei un vero Maestro, come veri Maestri sono Giovanni e i Farisei, dovresti insegnare come si digiuna ai tuoi discepoli. Anzi tu stesso dovresti mostrare loro come si digiuna. Poiché tu non fai questo, di certo non sei un vero Maestro. Come si fa ad essere un vero Maestro e non insegnare le cose più elementari che necessitano ad ogni buon discepolo? Il digiuno che il Signore vuole dal suo popolo è un vero digiuno di peccato, di egoismo, di ogni altro vizio. Il suo popolo non deve nutrirsi di peccato, vizi, egoismo, superbia, avarizia. Per questo deve vivere di parole e di opere orientate alla più grande carità. Il popolo di Dio digiuna quando si nutre di grande giustizia e carità verso i fratelli. Quando invece si nutre di peccato e di egoismo di certo non si può dire che digiuna. Nel Nuovo Testamento il digiuno si vive esercitandosi nelle grandi quattro virtù della giustizia, della fortezza, della temperanza, della prudenza. Queste quattro virtù sono la sana e santa modalità per vivere alla perfezione le virtù della fede, della speranza, della carità.

Il discepolo di Gesù deve nutrirsi quotidianamente della più alta e squisita carità. Egli deve vivere per amare gli altri, rinunziando anche alla sua stessa vita. Se si toglie il pane di bocca, se lo deve togliere per darlo ai suoi fratelli. Egli deve privarsi sempre per amore, per il più grande amore.  Questo è il digiuno che il Signore chiede ad ogni uomo e lo chiede ogni giorno. È questa la regola della carità, della beneficenza, dell’elemosina. Ma Gesù non può dire queste cose a quanti sono denigratori del suo insegnamento. Lo avrebbero accusato di sovvertire le tradizioni dei padri. Per tutto questo mondo le tradizioni dei padri avevano valore di Legge. Valevano più che la Legge del Signore, più degli stessi Comandamenti. Ora però non è il momento di parlare loro in pienezza di verità e per questo Gesù ricorre alla sua metodologia dell’immagine che è semplice, immediata. Con questa metodologia acquieta i cuori e rimanda a tempi migliori nei quali sarà possibile parlare con più grande chiarezza.

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Ancora una volta Gesù si presta un’immagine della vita di tutti i giorni. Nessuno si reca ad un banchetto di nozze per digiunare. Sarebbe una grave offesa allo sposo. Al banchetto di nozze ci si reca per gioire e rallegrarsi mangiando e bevendo. Lo sposo è con loro ed è obbligatorio che si faccia festa. Il digiuno in un banchetto di nozze è il non senso. Finito il banchetto di nozze, lo sposo non è più con gli invitati, questi tornano alla loro vita quotidiana e allora sì che viene il tempo del digiuno. C’è il giorno in cui si può mangiare perché si ha un tozzo di pane e c’è il giorno in cui non si può mangiare neanche paglia, perché neanche questa è possibile reperire. In questi giorni si digiunerà e come se si digiunerà! È sublime questa immagine di Gesù. Essa ci insegna che la vita ha momenti lieti e momenti meno lieti. Bisogna vivere i momenti lieti nella più grande letizia, ma anche i momenti meno lieti nella loro non letizia, accettandoli così come sono, ma rimanendo sempre nella più pura osservanza della Legge del Signore.  Questi giorni meno lieti si vivono con quel poco che la provvidenza ci fa trovare, senza lamentarci, senza trasgredire i Comandamenti, accontentandoci di quel poco che si ha.

Ora Gesù entra nel mistero del Nuovo Testamento con una parabola che di sicuro i denigratori non hanno compreso e nemmeno noi riusciamo a comprendere nella sua infinita bellezza di verità e di sapienza. Il pezzo di stoffa strappato al vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio lo possiamo raffigurare come una beatitudine del Nuovo Testamento da applicare al Vecchio Testamento, pensando che con una Beatitudine applicata al Vecchio Testamento, questo lo si potrà rendere Nuovo. È questa una vera incongruenza. Una Beatitudine si adatta male a tutto l’Antico Testamento nel quale si vive con tutt’altra mentalità. L’Antico Testamento è Antico Testamento e dovrà rimanere sempre Antico Testamento. Nessuna cucitura di un qualche pezzo di Vangelo lo renderebbe Nuovo Testamento. Lì vivono altri cuori, altre menti, altri spiriti, altri sentimenti. Tutto è diverso nell’Antico Testamento. Esso è paragonato da Gesù ad un vestito vecchio.

LEGGIAMO IL TESTO DI Lc 5,33-39

Allora gli dissero: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Ecco un’altra immagine che dona più vigore a quella del vestito vecchio e del pezzo di stoffa nuovo. Ci sono otri vecchi e otri nuovi. Nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi. Il vino nuovo è pieno di vigore e squarcia gli otri vecchi. Per cui e vino ed otri vanni perduti. Un uomo saggio cosa farà? Eviterà di fare quest’operazione. La eviterà perché non vuole perdere allo stesso tempo il vino e gli otri. Così dicasi del contenitore dell’Antico Testamento, delle sue istituzioni, delle sue strutture religiose. Tutte queste cose non possono contenere il vino nuovo della nuova verità e della nuova sapienza che sgorga dal Nuovo Testamento.  Sarebbe una vera perdita sia dell’Antico Testamento, che deve rimanere sempre Antico Testamento, e sia del Nuovo che deve rimanere sempre Nuovo Testamento. E pensare che noi abbiamo riversato molte strutture dell’Antico Testamento nel Nuovo.

È Gesù il vino nuovo ed è anche Lui l’otre nuovo. Fatti da Lui nuovi, per opera dello Spirito Santo, dobbiamo essere sempre riversati in Lui per conservare la freschezza della nostra novità. La nostra tentazione è sempre la stessa: travasare tutte le strutture dell’Antico Testamento nel Nuovo, come se il Nuovo Testamento fosse una forma aggiornata dell’Antico. Tra l’Antico e il Nuovo c’è rottura, c’è abisso incolmabile, c’è la pienezza della verità e della grazia, c’è compimento, ma non per continuazione, bensì per adempimento di tutte le promesse di Dio. L’Antico Testamento è solo figura. La realtà è il Nuovo. È Cristo Gesù il Nuovo Testamento e con Cristo tutto è nuovo. Dinanzi a Gesù l’Antico Testamento è solo una pallida figura. Per questo motivo Gesù non può prendere una consuetudine dell’Antico Testamento, quale il digiuno, ed inserirla così come essa è nel Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento ha un nuovo digiuno, una nuova consuetudine di vivere la virtù, un modo nuovo di relazionarsi con le cose e secondo questa novità bisogna vivere. Il Nuovo Testamento è l’essenza e la forma di Cristo Gesù che è la carità crocifissa, donata interamente per la salvezza dell’umanità.

È questa la ragione per cui il vino nuovo, Cristo, va versato in otri nuovi, nella forma e nelle modalità di Cristo Gesù, il Crocifisso e il Risorto. Se il vino nuovo è Cristo, la forma nuova è solo la modalità di Cristo. La modalità di Cristo è una sola: la sua crocifissione. Il vino nuovo è Cristo e l’otre nuovo è il Crocifisso.  Solo chi riesce a versare se stesso in Cristo e nella sua Crocifissione potrà dire di essere persona che vive nel Nuovo Testamento. Il travaso dal Nuovo all’Antico, o dall’Antico al Nuovo è perdita sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. È proprio della spiritualità cristiana il suo quotidiano aggiornamento all’ora dello Spirito del Signore. O ci si aggiorna all’ora attuale dello Spirito Santo, oppure ci si fossilizza in cose vecchie che non danno salvezza. Madre di Dio, vieni in nostro aiuto. Fa’ che comprendiamo ogni Parola del Figlio tuo. Amen.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.