IL SENTIERO DEI GIGLI
Non si può essere cristiani e camminare nell’impurità o giustificare l’impurità, perché il discepolo di Gesù si sforza di amare Dio con cuore indiviso, senza lasciarsi dominare dalle passioni veneree.
«Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione». Con queste parole Paolo si rivolge ai cristiani della comunità di Tessalonica, che fino a poco tempo prima vivevano secondo i costumi pagani, soggiogati dalle passioni impure. Il testo è inequivocabile per quanto riguarda la natura del peccato condannato da Paolo. Il termine greco, tradotto in italiano con “impurità” è “pornèia”, che si riferisce a tutti i peccati relativi alla sfera sessuale: adulterio, fornicazione, incesto, ecc.
L’Apostolo sembra volere chiarire una volta per tutte che non si può essere cristiani e al tempo stesso camminare nell’impurità. Scrive, infatti: «Questa è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio».
Si noti la solennità dell’affermazione: «Questa è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità…». L’impurità è quindi contraria alla volontà di Dio!
C’è chi accusa la Chiesa di dare un peso eccessivo ai peccati contro il sesto comandamento, poiché in questo modo farebbe passare l’idea di un cristianesimo sessuofobo e proibizionista. Anche ammesso che questo a volte accada o sia accaduto, nondimeno il testo di Paolo mostra che già la fede apostolica considerava la purezza come una virtù irrinunciabile del cristiano. Non si tratta quindi di una dottrina ecclesiale ma rivelata da Dio stesso! Inoltre, non è affatto un discorso sessuofobo e moralista, perché l’obiettivo è la salvaguardia della vera libertà e il frutto della “santificazione”, che – come scrive lo stesso Paolo nella lettera ai Galati -, è l’amore, la pace e la gioia! (cf Gal 5,22). L’impurità è incompatibile con la “santificazione”, e quindi con la vera gioia. Essa è considerata sin dalle origini del cristianesimo un peccato grave per una ragione che si può già intuire nella lettura odierna, ma che risulta più chiara in un testo della prima lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: «State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi?» (1Cor 6,18-19).
D’altra parte, nella prima lettura di oggi, l’Apostolo non condanna solo l’impurità, ma ancor più chi la giustifica e su questo tema inganna i fratelli. Scrive, infatti: «Che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito».
Si tratta di parole molto severe! C’è un castigo divino per chi offende o inganna il fratello in questo campo, esempio affermando che l’impurità non è un peccato oppure che non è possibile che un cristiano si mantenga puro in questo mondo.
Così facendo, disprezza Dio stesso, la sua legge e il dono dello Spirito Santo. Perché lo Spirito Santo? Perché per Paolo è chiaro che è possibile camminare nella purezza non contando sulle proprie forze, cioè vivendo secondo la carne, ma contando sulla forza dello Spirito Santo, ovvero attraverso una preghiera incessante e fiduciosa. Scrive, infatti, nella lettera ai Galati: «Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne» (Gal 4,16).
Le vergini stolte di cui parla Gesù nel vangelo di oggi rappresentano precisamente coloro che – per richiamare ancora un passaggio della Lettera ai Galati – hanno cominciato nel segno dello Spirito e finiscono nel segno della carne (cf. Gal 3,3). Camminare nel segno dello Spirito vuol dire coltivare ogni giorno la relazione viva con Gesù attraverso la preghiera e la vigilanza, una relazione che si concretizza poi nel servizio dei fratelli.
Come Gesù stesso ci ha detto, «non tutti capiscono questa parola» (Mt 19,11), ma per un cristiano che ha conosciuto l’Amore di Cristo lo sforzo di camminare nella via della purezza – che il “sentiero dei gigli” – diventa decisivo se non vuole rischiare che la sua vita si concluda come quella delle vergini stolte. In ultima analisi, il discorso della purezza è un discorso sull’amore. I “puri di cuore” sono coloro che amano Dio in ogni cosa e sopra ogni cosa; che lo amano con cuore indiviso e quindi non amano le creature in modo disordinato. Chi ha conosciuto la bellezza e la gratuita dell’Amore di Dio e sceglie di lasciarsi schiavizzare dalle passioni carnali (che sono un surrogato tossico dell’amore vero!) merita il durissimo ammonimento di San Pietro: «La condizione ultima di coloro che, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per essi non aver mai conosciuto la via della giustizia… Si è verificato per loro il proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango”» (1Pt 2,20-22).
«Come riuscire a fare tutto questo? Chi ci darà la forza necessaria? Gesù che tutti i giorni riceviamo nel nostro cuore. Il rosario alla Madonna, arma potente per vincere il nemico ed acquistare virtù… Catena dolce che ci unisce a Dio» (M. Piacentino, Madre Maria Paola Muzzeddu. Un candido giglio nell’abbraccio di Mater Purissima, Gorle 2019, p. 138). Sono parole della Venerabile Madre Paola Muzzeddu, a cui la Madonna chiede di essere venerata con il titolo di “Mater Purissima”; nel solco della testimonianza di tutti i santi, ella ci ricorda i due mezzi più potenti per custodire la virtù della purezza: la Comunione eucaristica quotidiana e il Santo Rosario. Amen.
Mater purissima, ora pro nobis!