don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 13 Agosto 2021

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Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]

La mancanza necessaria che rende credibile l’amore

Gesù, interrogato sulla liceità del ripudio, rintraccia nel racconto della creazione non un inizio, ma il principio, cioè il fondamento della vita dell’uomo e della legge stessa. L’origine dell’uomo e della donna è diversa da quella dalle altre creature perché la loro nascita non avviene per separazione ma per unione. Il maschio e la femmina non sono chiamati semplicemente a coesistere ma a convivere. L’uomo e la donna per esistere quale immagine e somiglianza di Dio, devono essere uniti. Questo vuol dire che per l’uomo vivere non consiste solamente nello svolgere le funzioni vitali procurandosi da mangiare, ma significa amare unendosi l’uno all’altro; senza una relazione che mira all’unità della comunione l’uomo regredisce fino alla morte. Il matrimonio diventa dunque la risposta che l’uomo dà alla sua vocazione ad essere in comunione con gli altri. Non si tratta di assecondare il proprio istinto ma di una scelta consapevole che nasce dalla umile consapevolezza di non poter bastare a sé stesso. La norma emanata da Mosè non è una forma di giustificazione della pratica del ripudio ma una denuncia della durezza del cuore dell’uomo che tenta di dominare sulla donna o viceversa. Il ripudio non mette la parola fine ad una relazione, ma alla vocazione dell’uomo di costruire la comunione. Il ripudio è un atto anti-creativo. 

I motivi del conflitto sono tanti quante sono le differenze tra le persone. Nel suo cuore ognuno deve scegliere se considerarle come motivi utili di conflitto o ragioni valide per costruire la comunione. Un cuore, reso duro dalla mancanza di comunione con Dio, si trincera dietro i limiti altrui per giustificare la rinuncia ad amare l’altro.

Colui che si fa eunuco per il Regno dei cieli vive il proprio stato di vita non come rinuncia ma come dono totale di sé. Farsi eunuco significa rinunciare ad usare la propria carica aggressiva (la passione) per sedurre e servirsi delle persone, ma incanalarla nella cura che ad esse riserva. L’eunuco per il Regno dei cieli, cioè l’umile, riconosce nelle differenze e nei limiti non un disvalore o un problema, ma un’occasione per realizzare la propria vocazione alla comunione. La comunione non si regge sulla gratificazione, ma sul dono reciproco possibile nella misura in cui si rinuncia alla propria volontà di potenza, all’autoreferenzialità e volontariamente ci si rende «mancante» per unirsi all’altro. Secondo il comando di Dio l’uomo deve lasciare il padre e la madre non per ripudiarli ma per creare quel vuoto necessario nel quale far nascere una nuova vita. Separarsi dai genitori non significa liberarsi di loro ma diventare più liberi per donarsi. Il ripudio va nella direzione opposta al senso della maturità della libertà.

Questa verità è possibile capirla e viverla solo se si segue Gesù fino alla fine, fino alla croce, lì dove Lui si è fatto «eunuco per il regno dei cieli». La rinuncia al dominio sugli altri diventa volontà di servirli, la tristezza dell’abbandono degli uomini è motivo per abbandonarsi nelle mani di Dio, il rifiuto dei fratelli si trasforma in scelta di amarli fino alla fine.

Signore Gesù, che ti sei svuotato della tua gloria e ti sei spogliato della tua potenza per immergerti nella nostra umanità fragile e limitata, insegnami a rinunciare all’orgoglio dell’autosufficienza per investire tutte le forze sull’amore, quello capace di resistere agli urti dell’umana debolezza. Guidami Tu nelle mie scelte di vita perché non siano ispirate al principio della ricerca egoistica del piacere o della convenienza ma siano suggerite dalla voce dello Spirito che indica nella comunione il compimento della vocazione universale alla santità.