don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 1 Agosto 2021

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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18a Domenica del Tempo Ordinario

Un’altra fame, un altro cibo

Gv 6,24-35

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Cercare Dio è l’aspirazione più nobile dell’uomo, segno di un desiderio che muove la persona verso Colui che la costituisce come soggetto di libertà; significa che non stai sbagliando strada e che la tua fatica sarà ripagata dalla gioia della meta. Nel cammino però non basta aver imboccato la via giusta; occorre esaminare il proprio cuore e verificare se esso è animato da una intenzione pura, se cerca Gesù sopra ogni cosa o persegue altri obiettivi. Perché può accadere che un prete con una parrocchia florida o un genitore con una famiglia sana siano perennemente insoddisfatti? È questione di sguardo: hanno perso di vista Cristo, e tutto diventa irrimediabilmente pesante perché fatto senza cuore.

Il Maestro conosce bene i sentimenti che abitano l’animo umano, e invita la folla, abilissima nell’imbarcarsi e accorciare così le distanze, a chiedersi quale sia la vera distanza interiore che la separa da Lui. Possiamo essere fisicamente vicini alla sua divina presenza nel tabernacolo eucaristico o al capezzale di un moribondo, eppure al contempo il cuore potrebbe alienarsi ed essere dominato da desideri mondani non compatibili con l’amore del Signore. Il rimedio a tale rischio è ‘darsi da fare’, non restare inerti, cercare «il cibo che rimane per la vita eterna». Tale opera consiste essenzialmente nel credere all’inviato del Padre.

Perché spesso diciamo di credere e poi ci comportiamo in maniera esattamente contraria alla fede, facendoci prendere dalla paura e dall’egoismo dinanzi ai grandi bivi della vita? La risposta la troviamo nella ulteriore richiesta di un segno che la folla rivolge a Gesù. Se il segno dei pani, invece di rimandare al pane spezzato e donato nella carne del Figlio, viene interpretato non per quello che è ma come rinforzo al proprio bisogno di sicurezza nella lotta per la sopravvivenza fisica e psicologica, allora vuol dire che siamo fuori dall’ambito della fede.

Una fede che non si apra al rischio dell’oltre, che miri soltanto a trarre energia per affrontare la vita presente, non è la fede in Cristo, che invece ti invita a misurarti con la realtà della morte e al contempo ti fa intravedere il suo superamento nell’amore. È vero che «i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto», ma non avevano ancora assaporato il pane di eternità. Solo chi cerca quest’ultimo pane, e non unicamente quello materiale, passa dalla sopravvivenza alla vita piena. Entrambi i pani sono espressione del dono di Dio; la differenza è che il primo te lo prendi e lo consumi fra te solo; il secondo lo accogli guardando negli occhi chi te lo dona.

È sempre la relazione con Cristo a schiudere dinanzi a noi l’orizzonte dell’eterno; da soli non possiamo trascendere noi stessi. Il pane del cielo estingue la fame di altri cibi, appaga totalmente il desiderio dell’animo umano. Molti cristiani durante la pandemia del Coronavirus, costretti a un digiuno eucaristico senza precedenti, hanno compreso nella loro carne cosa significa essere privi del pane disceso dal cielo, piegati dai morsi di una fame spirituale paragonabile agli spasmi della fame materiale.

Ecco la sfida: mi basta Gesù? C’è chi ha ricevuto tutto l’amore dai genitori o dal coniuge eppure va cercando altri padri o amanti. Ci si concentra sulla degustazione, pensando che essa esaurisca tutto il processo del nutrimento. Chi vuole solo trangugiare un cibo frettolosamente, non farà una buona digestione, non permetterà a quell’alimento di nutrirlo davvero. In altre parole, non basta avvicinare il cibo al palato, occorre farlo entrare dentro.

La superficialità che impedisce la mancanza di profondità è il male del nostro tempo. Rapporti che si estendono orizzontalmente e nella frenesia di un vorticoso contatto virtuale, ma che non ti segnano e non ti permettono di lasciare una traccia di te all’altro. Dovremmo avere il coraggio di limitarci nell’esercizio di una libertà senza scelte di campo perché, se rimani sempre aperto ad ogni possibile sviluppo della tua libertà, succederà che ‘chi troppo vuole, nulla stringe’.

La libertà implica scelte, sacrifici, rinunce; comporta superamento di qualsiasi ambiguità, perché una persona che vive una doppia vita impiegherà le sue energie nel nutrire alternativamente l’una o l’altra vita, sfiancandosi e disperdendosi. Chi invece vuole uscire da sé e ‘segnare’ la vita dell’altro, deve ritrovare la propria unità interiore. Se sei uno lasci un segno; se sei più di uno tracci solo scarabocchi.

Tutto questo è possibile perché quel giorno Gesù parlò: in principio una parola che si fa cibo. Ascoltiamola!