Non è costui il figlio del falegname?
Dopo il lungo insegnamento in parabole sul regno di Dio lungo il mare di Galilea, Gesù si reca nella terra dove era cresciuto e dove aveva vissuto per circa trent’anni nella sua famiglia e nel suo villaggio, vivendo una vita ordinaria di lavoro e di relazioni. Era conosciuto come il figlio del carpentiere e tutti sapevano che sua madre si chiamava Maria e conoscevano i suoi fratelli, le sue sorelle, i suoi cugini, di cui il brano evangelico elenca alcuni nomi. Gesù era un figlio d’Israele e fu chiamato Nazareno (cf. Mt 2,23). In Gesù Dio ha preso carne e ha abitato in mezzo al suo popolo, ed era veramente uomo. Ecco, un aspetto importante del realismo dell’incarnazione.
La conoscenza di familiarità che avevano i conterranei di Gesù si rivela, poi, un ostacolo a una conoscenza più profonda, così che non accedono alla fede in lui.
Qualche anno prima Gesù era uscito dal suo ambiente e dapprima si era recato in Giudea da Giovanni, vicino al Giordano, per essere battezzato da lui (cf. Mt 3,13). Poi era andato ad abitare a Cafarnao, nel territorio di Zabulon e di Neftali (cf. Mt 4,13), terra composta di popoli pagani. Con questi passi, non uscì solo dalla sua casa e dalla sua patria, ma il suo spirito si apriva innanzitutto, nell’incontro con il Padre del cielo, alla sua identità di Figlio e alla missione che gli era stata affidata. In seguito, Gesù si è fatto pellegrino sulle strade d’Israele, incontrava molte persone – israeliti e pagani –, le ascoltava, le curava e insegnava loro tante cose. Egli era un uomo libero, pienamente dedito alla sua missione di comunicare la vicinanza e la compassione del Padre. Ecco, un altro aspetto essenziale del mistero dell’incarnazione.
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Tornato nella sua patria, come ogni figlio d’Israele quale figlio della legge, nella sinagoga si alza per leggere e commentare il brano biblico. Il suo insegnamento suscita stupore, così che tutti si chiedevano da dove gli venisse tutta questa sapienza e la potenza dei gesti che compiva.
Che cosa hanno fatto i suoi compaesani di questo stupore?
Anziché aprire la mente ed elevare lo spirito alle meraviglie che Dio opera tra gli umani, essi spengono lo stupore e danno spazio al dubbio, allo scetticismo, alla diffidenza. Invece di arrivare alla conoscenza della fede tramite lo stupore e l’accoglienza della Parola, essi si chiudono nell’incredulità. Attaccandosi alla loro conoscenza di familiarità inciampano nella possibilità di accedere alla vera conoscenza di Gesù.
Gesù, in questo brano, s’identifica con i profeti, con quegli uomini, portavoce della Parola di Dio e immagine del suo volto, che spesso hanno conosciuto il rifiuto.
Lo scandalo degli abitanti di Nazareth prefigura lo scandalo della croce. Come Dio può parlare e farsi vicino attraverso un uomo così ordinario, così umile? Come Dio può rivelarsi attraverso un uomo crocifisso?
L’incredulità sta nella non accoglienza dell’umanità di Gesù, del Figlio di Dio fatto uomo. La fede, invece, è conoscenza del Padre attraverso il Verbo fatta carne. Il mistero dell’incarnazione di Dio, per gli uni è motivo di scandalo, di non-comprensione e di rigetto, e per gli altri è fonte di meraviglia che apre alla sapienza della fede. Questo è il vero punto – in quel tempo come oggi.
sorella Alice
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