La liturgia della festa della Beata Vergine del Monte Carmelo ci suggerisce una sosta su un altro monte, il Calvario, là dove una donna e un uomo accolgono il testamento del Figlio di Dio appeso ad una croce: Guarda, è tua madre!… Guarda, è tuo figlio!…
Tutto sembra volgere al termine. Tra poco la morte dirà l’ultima parola su una esperienza che ha tutti i tratti di un esito fallimentare. Lo stesso Gesù, poche ore prima, aveva detto ai discepoli che una volta percosso il pastore essi si sarebbero dispersi ciascuno per conto proprio. Qualcuno, tuttavia, sembra smentire quelle parole: Maria, le altre donne e il discepolo che egli amava non hanno un loro proprio verso cui ripiegare. Mentre i discepoli si sono dileguati, il femminile non fugge.
Stava… quale ricchezza di evocazioni in quello stare! In un’esperienza di conflittualità tra tenuta e fragilità, il femminile riesce a far pendere il piatto della bilancia sulla prima, sulla capacità di perseverare. Quando il dramma imperversa e si è dibattuti fra la coerenza interna e l’adattarsi al collettivo, Maria e il femminile del vangelo non vengono meno alla parola data. I discepoli maschi non hanno retto all’irrompere dei molteplici sentimenti che possono prevalere in un frangente come quello: non riescono a gestire la paura, la sofferenza, la rabbia, la depressione, l’angoscia.
Stava… per Gv lo stare, il rimanere è il modo in cui si esprime il credere. La fede, infatti, non è esperienza di un momento, ha nulla a che vedere con il brivido a fior di pelle che svanisce in un attimo. Lo stare ai piedi della croce non è lo stare di chi non si allontana. Ha ben altra valenza quel rimanere. Ormai è evidente che la vicenda umana di Gesù stia per naufragare. Umanamente non rimarrebbe altro che lasciare libero corso agli eventi, come appunto suggerisce l’atteggiamento dei discepoli maschi. Non resta che indirizzarsi altrove. Ha forse un senso rimanere nel luogo della sconfitta quando non si può fare altro che patire inutilmente una situazione senza sbocchi?
Stava… l’atteggiamento del femminile, invece, suggerisce di uscire da questa logica del “prendere o lasciare”. Maria e il femminile scelgono di esprimere una fede capace di abitare la contraddizione: questa, infatti, non si scioglie decidendo di andarsene. La vita stessa, infatti, è contraddittoria e non per questo va abbandonata.
Stava… si tratta dello stare per capire, per non fermarsi all’apparenza. Si tratta dello stare che continua ad esprimere affetti, a tessere legami e a coltivare passioni. Davanti agli occhi di quelle donne non c’è soltanto un uomo che subisce ingiustamente una passione. C’è piuttosto un uomo che ha vissuto con passione, che ha fatto di quella morte – come già della sua vita – un’esperienza di rivelazione del volto di Dio.
Stava… senza la pretesa di afferrare al volo il senso di quello che sta accadendo. Rimanere affinando la capacità di ascolto.
Ecco tua madre… Cosa significa la consegna di Maria ai discepoli di ogni tempo? Frequentare i luoghi di Maria, accanto a lei, per essere formati da lei.
Nazareth, anzitutto, là dove la troviamo in ascolto della Parola di Dio, provando a discernere ciò che il Signore chiede alla sua vita e disponendo tutto di sé ad accoglierlo fino a farlo diventare carne della sua carne. Abbiamo anche noi una Nazareth in cui grazie al nostro sì possiamo permettere alla Vita di venire alla vita.
Poi Betlemme, là dove cerca di capire e conserva nel cuore tutto quello che accade attorno a quel bambino. C’è anche per noi una Betlemme in cui non riusciamo a tenere insieme il dono di Dio e la sproporzione dei segni con cui egli si manifesta.
Poi Gerusalemme dove mentre adempie la legge si sente dire che ella sarà strettamente coinvolta nella passione del Figlio suo tanto che una spada le avrebbe trapassato l’anima. C’è anche per noi una Gerusalemme che ci sollecita a fare dono di noi stessi fino in fondo, una Gerusalemme dalla quale volentieri distoglieremmo sguardo e passi.
Poi di nuovo Nazareth, fatta di anonimato ma contraddistinta da un’opera tanto delicata quanto preziosa: quella dell’educazione di Gesù come vero uomo e vero Dio. C’è anche per noi una Nazareth fatta di nascondimento ma non per questo irrilevante nell’economia di Dio.
Poi ancora il Calvario, dove riconsegna al Padre ciò che gli apparteneva, il Figlio Gesù, e accoglie in cambio ogni uomo e ogni donna del mondo, ritrovando così nuove ragioni per continuare a vivere. C’è anche per noi un Calvario quando siamo chiamati a ospitare nel nostro grembo un mistero di male che può essere vinto non ripagando con la stessa misura.
Poi, infine, il Cenacolo, dove si edifica la comunità cristiana nutrendosi della preghiera e della disponibilità a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio. C’è anche per noi un Cenacolo in cui edificare la nostra comunità anzitutto accettando di starci e poi con la docilità all’azione dello Spirito che ci guida per sentieri che forse non avevamo messo in conto.
Credo significhi tutto questo prendere Maria tra le proprie cose come quel giorno fece il discepolo che Gesù amava.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM