È un bel programma di vita quello che Gesù prepara e dispiega per i suoi discepoli.
È un programma di vita che è modo d’essere più che un modo di fare.
La propria vita, per essere veramente umana dipende dalla Parola accolta e portata. La Parola che entra nel nostro cuore forma un punto di divisione che non è la divisione portata dal grande divisore, è una divisione di discernimento, non di esclusione. Noi siamo divisi dentro perché non facciamo quello che vogliamo e non vogliamo quello che facciamo. Vorremmo pacificarci dialogando e andiamo a finire di litigare ancor prima di cominciare; vorremmo essere costruttivi ma non troviamo nulla di meglio da fare che distruggere il prossimo e negare la bontà del suo agire.
Il punto di divisione che la parola raggiunge è invece il punto di distinzione fra bene e male che c’è in noi. Quando noi raggiungiamo quel punto, anche attraverso la Parola, noi raggiungiamo un grado di libertà di alta levatura ed è grazie a quel grado di libertà più vera che noi diveniamo capaci di unità interiore e dunque di scegliere il discepolato.
Il discepolato è cosa semplice: mettere Dio al primo posto. Se noi non amiamo Dio, e da Lui ci lasciamo amare, come cosa prioritaria noi rischiamo di rendere il coniuge, l’amico, la prole, gli impegni, il lavoro, le cose e quant’altro degli idoli, perché amati più di Dio che è amore assoluto.
Dunque mettere Dio al primo posto è prendere la propria croce che è perdere la propria vita.
Gesù Cristo si è preso sulle spalle la croce di tutti e ha donato la propria vita morendo in croce per noi: ha perso per questo ha donato e si è ritrovato ad un livello più alto.
Noi siamo chiamati non a prendere la croce degli altri, cosa già fatta da Gesù Cristo, ma la nostra. La croce del discepolo non sono tanto le disgrazie e le malattie. La croce è cosa scelta non subita. La croce è amare Dio sopra ogni cosa perdendo la propria vita per i fratelli. La croce è luogo di dono e luogo per ritrovarsi. Perché l’uomo, e la donna, ritrovano se stessi quando, facendo unità dentro se stessi, ritrovano la capacità di dono. Lasciare che la Parola tocchi il punto di divisione fra bene e male significa ritrovare noi stessi e l’unità di noi stessi che consiste nel ritrovare la capacità di seguire il Cristo che perdendo, cioè donando, la propria vita l’ha ritrovata. Nella morte ha ritrovato se stesso come dono ed è ritornato in vita come risurrezione.
Accogliere la Parola che dividendo il bene dal male evidenzia le divisioni del maligno, significa ritornare a vivere da persone nuove, che hanno ritrovato l’unità di se stesse perché smettono di mettere cose futili al posto di Dio e ritrovano la bellezza dell’aprirsi alla vita nel dono, nel perdere la propria vita per Dio e per i fratelli. Portare la propria croce dietro a Gesù è proprio il ritrovare quella fonte della vita che abbiamo perduto nelle nostre dispersioni e divisioni. La croce è fonte di unità perché ci riporta all’essenzialità del dono che è perdere la propria vita per i fratelli. Ci riporta laddove nasce la risurrezione, si ritorna a vivere noi che a vivere sembra non ne siamo più capaci.
Così si può ritrovare il gusto del dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete, di accogliere chi è senza casa, di prendersi cura di qualcuno che sia qualcosa di più di un gatto o di un cane.
Così si lascia che la Parola ci divida perché possiamo ritornare liberi di scegliere. Così possiamo in libertà ritornare a riscoprire la bellezza del dono e del prendersi cura: questa è risurrezione bella e buona che sboccia come fiore fra le rocce della croce, simbolo di dono e di perdita. Simbolo di dono e di perdita, realtà di ritrovamento di un senso che diversamente vola via come pula che il vento disperde.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM