don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 17 Giugno 2021

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I FIGLI DI DIO NON SPRECANO PAROLE MA COME UNA PREGHIERA SI OFFRONO AL PADRE CHE HA SALVATO OGNI FRAMMENTO DELLA LORO VITA 


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Un cristiano prega nell’intimità, ma mai da solo. Non è un ossimoro fratelli, perché Gesù non ha insegnato il “Padre mio” ma il “Padre nostro”; la preghiera dei figli di Dio, infatti, è la preghiera dei suoi fratelli redenti nel suo sangue. Per questo, anche quando si è da soli, preghiamo ben innestati nella comunità cristiana. Allora, dimmi come preghi e ti dirò chi sei, un figlio di Dio o un “pagano”. Chiediamoci oggi se viviamo da figli rinati con Cristo nostro primogenito, o come orfani vaganti nel mondo “compiacendosi” delle proprie parole il cui “pastore è la morte”, come recita il salmo. Per scoprirlo basta scrutare la nostra preghiera: quella piena di parole “sprecate” è tipica di chi si sente tradito, inutile, disprezzato, dimenticato ai bordi della storia che conta, delle scelte importanti, e tenta, con le parole, di farsi notare e di essere importante.

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Nel rapporto con Dio, come in quello con gli altri, il centro sono io. Le mie parole si infittiscono per affermarmi e piegare Dio perché faccia quello che gli chiedo. La Vergine Maria, invece, sempre silenziosa, prega con pochissime parole, che potrebbero essere la sintesi del Padre Nostro: “Eccomi, sono qui, avvenga in me secondo la tua Parola”. Maria, infatti, crede che “Dio sa di che cosa ha bisogno”, e in quel momento ha bisogno di essere Madre di Gesù perché tutti noi avevamo bisogno di Lui; era la sua missione, il motivo per cui era già Immacolata e piena di Grazia. Purtroppo, le nostre “tante parole” della preghiera segnano una vita in ginocchio davanti agli uomini e alle cose, perché prostrata dinanzi a sé stessi; “come i pagani”: molti dei, nessun Padre.

 Per questo, il Padre Nostro, è innanzitutto una Buona Notizia: non siamo orfani, siamo figli del Padre Nostro che è nei Cieli. E possiamo conoscerlo. Ecco perché nella Chiesa primitiva il Padre Nostro era un arcano svelato solo molto avanti nel percorso catecumenale. Bisognava aver fatto esperienza della paternità di Dio. Solo dopo averlo conosciuto la Chiesa “consegnava” questa preghiera come una perla preziosissima, perché attraverso di essa si chiede al Padre di farci vivere da figli che, come Gesù, entrano nella storia, perché essa non è più un campo di battaglia dove odiare i nemici per farci giustizia e saziarci dell’affetto che ci è stato tolto.

Il Padre Nostro è la preghiera di chi ha sperimentato che la storia è un cammino di conversione e ritorno alla casa del Padre, e in filigrana vi scorgiamo i passi del figlio prodigo. Chi ha conosciuto il Padre sperimentando che Egli “sa di cosa ha bisogno ancor prima che glielo chieda” pregherà non più per ottenere qualcosa ma per accogliere tutto quello che Lui ha già pensato di donargli per il suo bene. Perché un figlio quando prega apre se stesso come un cucciolo apre la bocca per ricevere il cibo che da solo non può procurarsi. 

Per questo ci ha accolto una Madre che ci insegna la fede della Vergine Maria con la quale credere che “il Padre nostro sa che abbiamo bisogno” che sia vivo in noi suo Figlio, perché il mondo ha bisogno di vedere risplendere in noi suoi figli la sua immagine e il suo amore. E ciò avviene nel “segreto” della comunità, la “stanza più intima” dove il Padre “vede” il nostro cuore per espellere da esso i demoni che ci incatenano alla paura ed effondervi lo Spirito Santo che ci fa figli nel Figlio e che grida in noi “Abbà, Papà!”.

Abbiamo bisogno di una comunità cristiana concreta dove ascoltare la Parola di Dio e accostarci ai sacramenti per sperimentare di essere figli di Dio insieme a fratelli concreti. Come fu per Gesù nel Getsemani, infatti, l’Abbà che sgorga dal cuore attira a Dio, misteriosamente, schiere di uomini. Per questo il Padre Nostro è la prima missione che ci è affidata: avere nel cuore ogni figlio di nostro Padre, ogni nostro fratello, sino a quelli dispersi nelle menzogne del mondo.

Per loro Gesù ha versato il suo sangue, per loro sono le parole della preghiera dei cristiani: esse invocano che il “Nome di Dio sia santificato” nelle nostre esistenze, perché si veda “il Cielo in terra” nelle opere che Dio compie in ciascuno perché lo conoscano e gli diano gloria sperando in Lui; implorano “l’avvento del Regno” nel quale vivere come figli del Re, regnando cioè sul denaro e sugli idoli mondani, per testimoniare a tutti che esiste la vita eterna; desiderano il “compimento della volontà di Dio” nella propria vita come accade nel Regno dei Cieli. Pregano cioè perché la Chiesa entri ogni giorno con tutti i suoi figli laddove il mondo non può, laggiù all’ultimo posto così vicino alla morte…

Per questo quelle del Padre Nostro sono le parole di chi è affamato del “pane quotidiano”, l’unico “sostanziale”, capace cioè di alimentare la vita divina. Non c’è, infatti, per i cristiani, che “il cibo di cui si è alimentato Gesù”, compiere sulla Croce l’opera che è affidata loro, “perdonare” i debiti dei nemici per mostrare al mondo la misericordia del Padre. Per questo tremano di fronte alle “tentazioni” e pregano il Padre di avere pietà di loro e “non li induca in tentazione”, “ma” – è molto importante questo “ma” – che “li liberi dal male”.

Hanno, infatti, imparato a conoscersi accettando la propria debolezza, e sanno che non si può vivere come figli di Dio e combattere contro le tentazioni senza essere “liberi dal male” che il demonio non cessa di tramare contro di loro per rendere vana la salvezza.