Commento al Vangelo del 20 Giugno 2021 – Piccole Suore della Sacra Famiglia

TACI, CALMATI!

  1. In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”.

Nel brano precedente a quello che la liturgia ci offre da meditare in questa domenica, Marco aveva raccontato la giornata di Gesù, che era stata molto impegnativa. Egli aveva parlato tutto il giorno al popolo, sulla riva del lago, esprimendosi in parabole.

“Venuta la sera”: quante volte la storia dell’uomo ha sperimentato il buio di situazioni tenebrose, come quelle che stiamo attraversando a causa della pandemia e della crisi economica. Viene la sera non in senso climatico, ma come situazione morale.

“Passiamo all’altra riva”: si conclude la giornata. Passare all’altra riva è chiudere un capitolo per trovare un po’ di ristoro. Viene spontaneo pensare alla conclusione non della nostra giornata lavorativa, ma della nostra giornata terrena e al raggiungimento del riposo eterno verso il quale siamo diretti.

  1. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.

La folla rimane tutto il giorno ad ascoltare Gesù: la Sua parola entra nel cuore e lo rinvigorisce. Alla sera è Gesù che congeda la folla tramite i discepoli.

I versetti indicano una certa fretta di salire in barca e di allontanarsi.

  1. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era

Il lago di Genezaret (chiamato impropriamente mare per la sua grande importanza all’interno di un territorio arido) è soggetto a repentini cambiamenti climatici. La tempesta giunge con furia e la barca presto si riempie di acqua. I discepoli si trovano in difficoltà.

Anche noi siamo travolti da eventi improvvisi, inaspettati, che mettono a repentaglio la vita umana, non solo di una nazione o di un continente, ma del mondo intero.

La tempesta ci fa sentire fragili e indifesi, in balia di flutti furiosi che si avventano sulla fragile barca del nostro vivere. Soprattutto ci troviamo indifesi dentro, mancanti di appigli interiori, perché troppo ci siamo adagiati a contare sulla scienza, sull’economia, sulla tecnologia. Crollano certezze, sicurezze, abitudini troppo umane. Ci siamo radicati alla terra, dimenticandoci che siamo solo di passaggio. Abbiamo ritenuto che l’uomo fosse in grado di prevedere e gestire qualsiasi calamità, invece i fatti ci ridimensionano e ci riconducono alla nostra fragile creaturalità.

Per resistere alla tempesta non basta assicurarci di avere una barca potente. Occorre avere fondamenta interiori, cioè capacità di fondarci sulla certezza di essere amati da Dio, dal quale nulla ci può separare.

  1. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”.

Gesù si trova nella parte posteriore della barca, quella più alta e non ancora raggiunta dall’acqua. Probabilmente la stanchezza della giornata è tale che il Maestro è in un sonno profondo. Secondo alcuni esegeti, il sonno di Gesù è riconducibile non alla debolezza fisica, ma alla sua interiore sicurezza nella propria sovranità. Egli non si preoccupa di quanto sta accadendo perché sa di poter vincere qualsiasi evento.

I discepoli, invece, sono molto agitati, perché si sentono in grave pericolo. Soprattutto, avvertono un senso di abbandono e di non partecipazione al problema incombente da parte di Gesù, che riposa

 

tranquillo. Si rivolgono a Lui in tono di rimprovero, reclamando il suo contributo alla comune ricerca di scampare il pericolo di affondare e annegare.

Quando siamo in difficoltà ci viene spontaneo unirci agli altri, perdiamo automaticamente la nostra autosufficienza. Comprendiamo che solo l’unità ci rende forti, mentre da soli siamo destinati a perire. Il frangente da affrontare diventa il cemento che unisce tutti nel comune tentativo di salvarsi.

  1. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande

L’agitazione dei discepoli contrasta con la calma maestosa di Gesù che si sveglia, si rivolge alle forze del vento e del mare e impone loro di calmarsi. Il suo comportamento richiama il potere di Jahvé sulla creazione quando mette ordine nel caos primordiale. Gesù si manifesta come partecipe della divinità del Padre, si manifesta come Dio.

Questa circostanza evoca l’esodo, quando il popolo, senza paura, passava in mezzo alle acque del mare (Esodo 14,22). È un richiamo al profeta Isaia: “Quando attraverserai le acque io starò con te!” (Isaia 43,2). In Gesù si realizzano tutte le scritture.

Gesù interviene sempre nella nostra vita perché gli stiamo a cuore. Non è vero che non gli importiamo! Proprio perché siamo preziosi, calma la tempesta e ci sostiene nel dolore, nello smarrimento, nella tentazione, quando ci sentiamo delusi da tutti e anche da Lui.

  1. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.

Avviene un cambio di scena: i discepoli, che prima avevano sgridato Gesù, ora sono loro ad essere rimproverati per la poca fede, per non averlo compreso nel tempo trascorso insieme in fraternità.

La comunità di Marco, sommersa dalle persecuzioni, trova in queste parole un incoraggiamento molto forte per proseguire il cammino di fedeltà a Cristo, anche a costo della morte.

La comunione di vita con Gesù dovrebbe aiutare i discepoli di ogni tempo a vivere in abbandono fiducioso anche i tempi difficili della prova. Cristo può sedare ogni guerra, ogni tempesta, ogni pandemia, se solo lo invochiamo e confidiamo in Lui. Quando i discepoli lo invocano, Lui, infatti, risponde!

  1. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.

I discepoli riconoscono la potenza di Cristo, ma il timore li invade. Invece di esultare di gioia, si interrogano circa la sua identità: “Chi è mai costui che fa cose così straordinarie?”. È talmente straordinario quanto è avvenuto che si trovano di fronte al mistero di Cristo e temono.

Chi è costui per me, per te?

La risposta a questa domanda diventa di grande importanza per scoprire non solo il senso del nostro esistere, ma anche il centro di unità della nostra comunione di fratelli che si trovano, appunto, nella stessa barca.

Se crediamo che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio, l’Onnipotente, la barca dalla nostra vita potrà procedere anche in condizioni avverse. Credere è fidarsi di Lui anche quando non lo sentiamo, non lo vediamo, ci sentiamo abbandonati. Dopo, solo dopo, quando tutto è risolto, scopriremo che in realtà Lui era con noi, proprio in quel momento in cui ci sentivamo abbandonati.

Siamo chiamati a scegliere se continuare a lottare da soli contro una tempesta che ci travolge oppure creare comunione e, insieme con gli altri fratelli, ritornare a Dio con tutto il cuore, affidando a Lui la nostra vita, certi di essere in mani sicure. La sua potenza, che opera prodigi, può trasformare la nostra debolezza, se solo noi gli concediamo fiducia. Dio, il Tutto, può tutto nel nostro niente.

Suor Emanuela Biasiolo delle Piccole Suore della Sacra Famiglia


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