don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 10 Giugno 2021

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Il Tesoro della Comunione

L’intento principale della seconda lettera ai Corinzi è di difendere il ministero apostolico da una falsa immagine che andava diffondendosi, specialmente a causa di quelli che Paolo chiama «falsi apostoli» (11,13) o «superapostoli» (11,5; 12,11). Qui non dobbiamo pensare agli “Apostoli” istituiti da Gesù, ma a cristiani che si presentano come inviati per annunciare il Vangelo (“apostolo” significa “inviato”), ma che di fatto screditano il ministero, arrecando un danno enorme alla Chiesa, perché invece di condurre le persone a Cristo, le conducono a se stessi. Il loro orgoglio li porta a creare cerchie di fedeli, soggiogati dalla loro personalità (cf. 11,20).

Il vero apostolo di Cristo è tutt’altra cosa. Nel corso della lettera emerge il suo ritratto. Non è autoreferenziale e non “annuncia se stesso ma Cristo Gesù” (4,5), facendosi per suo amore umile “servitore” dei fratelli (cf. 4,5).  È disposto ad accettare ogni umiliazione pur di camminare nella via indicata da Cristo che è quella dell’obbedienza «perfetta» (cf. 10,5-6), per condurre anche i fratelli a questa obbedienza in modo che siano in «comunione» «con loro» e tramite loro «con tutti»: cioè con tutta la Chiesa (cf. 9,13).

Il criterio ultimo è la sincera ricerca, nella verità e per quanto dipende da noi, della pace e della comunione con tutti (Rm 12,18), evitando «animosità e dissensi» (2Cor 12,20). È ciò che chiede anche Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo di oggi. Invita a cercare sempre un accordo con i fratelli, perché nessuno può entrare nel Regno di Dio, che è Regno di comunione, se non fa di tutto per rimanere in comunione con il Corpo ecclesiale. «Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui – dice Gesù – perché …  tu non venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Già San Cipriano coglieva in questo passo un’allusione a ciò che in seguito la Chiesa avrebbe chiamato “purgatorio”: essere gettati in prigione – scriveva il vescovo di Cartagine – significa «esser purificati dai peccati con lunghe sofferenze e con fuoco persistente» (Ep. 55 ad Antonianum, n. 20), Come un gabbiano non può innalzarsi in cielo se le sue ali sono imbrattate di petrolio, così la nostra anima non può andare a Dio se è imbrattata dalla discordia e dall’orgoglio.

Alla vigilia della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, preghiamo per tutti coloro che sono investiti di un ministero apostolico, per tutti i sacerdoti, perché custodiscano sempre il tesoro della comunione con la Chiesa di Cristo. Amen.

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