Commento al Vangelo del 17 luglio 2011 – Paolo Curtaz

Sedicesima domenica durante l’anno

Sap 12,13-19/Rm 8,26-27/ Mt 13,24-43

Zizzania e orchidee

Dio getta il seme della Parola a piene mani, con abbondanza, con l’intima convinzione di riuscire sempre a fare breccia nel nostro cuore.

Ed è così: se, dopo duemila anni, siamo ancora qui ad ascoltare questa Parola, è perché ha scavato nei nostri cuori, ha fecondato le nostre scelte, ha cambiato la nostra vita.

Ma, allora, se la Parola si è diffusa e radicata nel cuore di milioni di persone, perché assistiamo ancora al prevalere delle tenebre? Perché abbiamo nel cuore la sgradevole sensazione che, nonostante i duemila anni di presenza cristiana, il mondo sia ancora immerso nelle tenebre?

Cosa è cambiato, di concreto, in questi duemila anni di storia?

Il seme è gettato con abbondanza, certo, e chi lo accoglie con onestà sa bene quanto sia difficile farlo crescere.

Ma, a complicare le cose è il fatto che abbiamo l’impressione che Dio non sia l’unico a seminare.

E abbiamo ragione.

Il maligno semina con tenacia la zizzania.

Zizzania

Vale la pena di ricordare che è seminato a buon grano, il mondo.

La meditazione del libro della Sapienza ce lo ricorda: se guardiamo con onestà al creato concludiamo che Dio è l’artefice di tanta armonia e che, quindi, egli è giusto e mite.

Il mondo è bello, l’uomo è buono. Difficile crederlo, in certi momenti. Eppure Gesù lo dice con serenità e forza, forse abbiamo disimparato a guardare bene, a leggere dietro le apparenze, a cogliere l’essenziale.

Un nemico semina la zizzania, di nascosto, di notte. Il bene e il male crescono insieme, ce ne accorgiamo quando la realtà di gonfia, cammina, si allarga. Quando cresciamo.

La saggezza del padrone ci stupisce: rimanda a casa propria gli zelanti servi che volevano un bel prato all’inglese, devotamente motivati a strappare la zizzania.

«Usate pazienza», dice il padrone, per non correre il rischio di strappare il grano buono nella foga risanatrice.

La Parola seminata domenica scorsa, il Regno di Dio cresce spartendo il campo con la tenebra, l’oscurità, la zizzania. È l’esperienza che tutti i figli della luce fanno prima o dopo: dopo duemila anni di Vangelo l’erba malvagia sembra soffocare l’annuncio di salvezza. A parole tutto funziona, ma nei fatti dobbiamo arrenderci all’evidenza: nonostante Cristo ci abbia salvato, l’uomo stenta ad imparare. La salvezza è cosa seria e il Maestro Gesù sa che luce e tenebra si affrontano e che le tenebre fanno più rumore. Non c’è che una cosa peggiore del male: abituarsi ad esso, renderlo quotidianità ineluttabile, fingere di ignorarlo, pensare che fra luce e tenebre, in fondo, sia meglio vivere in un bel nebbione.

Oppure fare i talebani, sostituirsi a Dio, essere più devoti di Dio, diventare dei fustigatori volendo a tutti i costi fare pulizia, rimettere ordine, togliere la zizzania costi quel che costi.

Pazienza

Anch’io, come i servi della parabola, vorrei chiarezza, soluzioni, immediatezza. Vorrei far vincere il bene, vorrei credere in un Dio interventista che premi i buoni e punisca i malvagi.

Il fatto che mi metta dalla parte dei buoni, ovviamente, è un particolare.

E invece no. La zizzania e il grano crescono dentro di me, assieme. In me, non nel mio antipatico capoufficio. In me. E il Signore anche a me chiede pazienza.

La pazienza richiama il dolore (il patire da cui deriva la parola) e l’attesa. Pazientare è attendere con dolore, sapendo che il male avrà fine. Viviamo sulla nostra pelle la contraddizione del male che coabita col bene, anche nei nostri cuori, e il Signore ci chiede di lasciar fare a lui.

Gesù insiste: l’importante è che il Regno, in te, sia un granello di senape o una misura di lievito. L’importante è che nel Parlamento del tuo cuore la maggioranza ce l’abbia il Vangelo.

Pazienza figli del regno, pazienza, lasciate fare a Dio il suo mestiere.

Pazienza, discepoli del Maestro, viviamo tempi bui, in cui la ragione e la fede devono farsi strada con fatica in mezzo all’indifferenza e all’insignificanza.

Pazienza, discepoli del Nazareno, la guerra è già vinta, il giorno è avanzato, la verità – immensa – come torrente sotterraneo sta raggiungendo il mare.

Il Regno avanza

Io credo che il Regno avanzi.

E mi stupisco nel crederlo, mi commuovo davanti al silenzioso grano che cresce nello sguardo di chi ama, nel gioco puro del bambino, nel gesto generoso di chi – in nome e per conto del Rabbì Figlio di Dio – pone gesti di luce nelle tenebre fitte, mi commuovo e mi inginocchio di fronte alle orchidee selvatiche che crescono solo per cantare la bellezza, senza che nessuno le veda o le colga.

Pazienza, discepoli di colui che è venuto a portare il fuoco, pazienza nelle nostre povere e poco credibili comunità parrocchiali, pazienza quando scopriamo le fragilità dei nostri compagni di viaggio, pazienza quando un connaturale istinto di superiorità ci fa giudicare, con piglio tutto devoto, i fratelli più deboli e peccatori.

Abbi pazienza con te stesso, fratello che leggi.

Sappiamo bene che la voglia di dividere il mondo in buoni (noi) e cattivi (loro) ha portato, nel passato, i discepoli su orribili sentieri di violenza.

Per i cristiani il nemico non è mai l’altro, è dentro ciascuno di noi.

Guardiamo con serenità e disincanto dentro noi stessi la zizzania (Per una volta chiamiamola per nome!) e guardiamo al grano buono seminato dal Signore. La contraddizione abita in ciascuno di noi, in me che scrivo.

È pericoloso pensare di strappare definitivamente la zizzania prima che il grano sia giunto alla sua piena maturazione.

Pazienza, amico che leggi, se ti sembra che troppe tenebre ancora rovinino la tua vita: abbiamo tutta la vita per imparare a vivere, per convertirci. Pazienza, se pensavi di essere un prete migliore, un catechista migliore, un marito migliore: talvolta la bruciante esperienza del limite (Pietro insegna) ci spalanca la diga della misericordia.

E ci rende simile a questo saggio padrone del campo.


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