Commento a Giudici 9-12 (GdC 9-12)

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Nella storia delle tribù di Israele si susseguono numerosi giudici. Oggi ci si sofferma soprattutto su Abimelech e Iefte. Il primo, figlio di Gedeone, uccide i fratelli e con arroganza diventa re, appoggiato dagli abitanti di Sichem, che poi gli volteranno le spalle; ma troppo tardi, quando ormai il destino dei Sichemiti era già stato legato alla diagrazia di Gedeone.

Iefte invece era di tutt’altra origine: figlio di una prostituta e per questo emarginato dai fratelli e dai connazionali, ritorna in gioco quando torna utile alla vittoria. Emerge tutto il suo valore, sino a sconfiggere prima gli Ammoniti e poi la tribù di Efraim, che gli muove guerra in quanto invidiosa di quella vittoria. Nel mentre, è costretto da una sua promessa improvvida a uccidere sua figlia.

Nessuno lo aveva costretto a tale impegno. Eppure una volta espresso non può più rimangiarsi il voto di uccidere la prima persona che sarebbe uscita dalla sua abitazione. È Iefte stesso che si è creato il dilemma: salvo mia figlia o salvo l’alleanza con il Signore? Senza quella stupida promessa, l’una non avrebbe escluso l’altra.

Nelle vicende dei capi, debolezze e prodezze umane vengono amplificate dal potere che hanno in mano. Quando ti è data qualche responsabilità, come gestisci questa amplificazione dei tuoi pregi e difetti?

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A cura di Piotr Zygulski