Commento alle letture di domenica 30 Maggio 2021 – Carlo Miglietta

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LA MISSIONE DELLA CHIESA

Tre sono i temi conclusivi del Vangelo di Matteo: la potenza del Figlio dell’uomo, la missione universale della Chiesa e la presenza del Signore risorto nella sua comunità.

Queste ultime parole di Matteo ci introducono nel tempo della Chiesa. Il loro interesse è ecclesiale, non cristologico. Infatti l’apparizione di Gesù è raccontata di sfuggita: “e vedendolo”. Non è su di essa che cade l’accento: all’evangelista non interessa più convincere della realtà della risurrezione (ciò è stato fatto in precedenza), ma mostrare le conseguenze che dalla risurrezione derivano per la fede della Chiesa.

La piena manifestazione di Gesù avviene in Galilea, dove erano stati invitati ad andare i discepoli (Mt 26,32; 28,7-10). Perché in Galilea? Probabilmente per far comprendere che Gerusalemme aveva cessato di essere il centro del culto e della religiosità. Da allora l’accesso a Dio, al vero tempio, non era più circoscritto a un luogo (“né su questo monte né in Gerusalemme”: Gv 4,21) ma a una persona, Gesù Cristo.

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La piena rivelazione avviene “sul monte che Gesù aveva loro fissato”. Matteo non ci informa su questo particolare del suo Vangelo. Non sappiamo di nessun monte che Gesù avesse loro indicato in precedenza; il monte è ricordato unicamente per il suo simbolismo: il monte è il luogo della rivelazione. La rivelazione di Dio nell’Antico Testamento avvenne sul monte Sinai. La rivelazione di Gesù, nuovo Mosè, avvenne sul monte delle beatitudini, dove egli manifesta il suo insegnamento e le sue esigenze morali, e sul monte di Galilea, dove manifesta la sua autorità e la sua missione.

La potenza del Figlio dell’uomo

La prima parola di Gesù Risorto è una rivelazione: “Mi è stato data ogni potere in cielo e in terra”. Con questo Gesù dichiara di essere il compimento della profezia di Daniele intorno al Figlio dell’uomo: “Ecco apparire sulle nubi del cielo uno, simile a un figlio di uomo…” (Dn 7,13-14).  Questa “signoria universale” del Signore risorto è la radice da cui scaturisce l’universalità della missione. Tutto il breve discorso di Gesù è dominato dall’idea di pienezza e universalità. Fare discepoli fra tutte le genti non significa, necessariamente, che tutti debbono convertirsi. Ciò che importa è che il popolo di Dio sia “fra tutte le genti”, magari una minoranza, ma fra tutte le genti.

La missione dei cristiani

La missione dei cristiani è esplicitata dalla Parola di Gesù: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20).

Alcune osservazioni su questo mandato. Il comando del Signore va tradotto non: “Ammaestrate”, ma più propriamente: “Fate discepole tutte le genti” (Matheùsate panta ta èthne). “Fate discepoli” è secondo il senso ebraico: il discepolo diventava membro della famiglia del Rabbi, il legame che stabiliva con lui era più forte dei vincoli di sangue. Anche Gesù si comporta così verso coloro che lo seguono: “Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre»” (Mt 12,47-50). “Matheùsate” non significa perciò trasmettere un insegnamento, ma inserire in un’esperienza vitale: equivale perciò a: “Fate membri della famiglia del Maestro”, “Rendete suoi intimi, suoi amici carissimi, suoi fratelli”. Ecco perché il fine specifico della missione è la “plantatio ecclesiae”, la fondazione della Chiesa (Ad gentes, n. 6), che è la “famiglia di Dio”: “Così dunque voi non siete più né stranieri (pàroikoi) né ospiti, ma siete concittadini dei santi e famigliari (ndr: oikèioi: si noti il gioco di parole) di Dio” (Ef 2,19); “operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i famigliari (oikeìous) nella fede” (Gal 6,10); perché “la sua casa (oikòs) siamo noi, se conserviamo la speranza e la libertà di cui ci vantiamo” (Eb 3,6).

Si noti bene: “Matheùsate” è aoristo, che esprime dinamismo operativo, ed equivale quindi a: “Non cessate mai di fare membri della famiglia di Dio”. Nostro compito è quindi far sì che tutti gli uomini diventino amici di Dio, e ricevano la “gioiosa notizia” di essere i suoi figli amatissimi.

Il comando di Gesù nel Vangelo di Matteo esprime le modalità di questa chiamata con tre participi, tradotti come gerundi in italiano. Il primo di essi, “andando” (poreuenthèntes), esprime l’aspetto propriamente missionario, quello, come dice Papa Francesco, di “una Chiesa in uscita”: non ci vien detto che gli altri verranno da noi, ma che noi dovremo muoverci, innanzitutto uscendo da noi stessi, e poi dalle nostre comunità, gruppi, Parrocchie, per andare ai lontani. Non possiamo starcene con le mani in mano, rintanati nelle nostre sicurezze: dobbiamo esporci, metterci in discussione, in cammino, in esodo verso gli uomini.

Il secondo participio greco, anch’esso poi tradotto in italiano con un gerundio, afferma: “Immergendole nel nome (baptìzontes autoùs eis to ònoma) del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Non sottolineiamo subito l’aspetto sacramentale del termine (“battezzandole”): lasciamoci prima conquistare dal suo significato letterale, che è “immergere nel nome”. Per gli ebrei, il nome indica l’essenza, la natura più intima (Gen 2,19-20): e l’essenza di Dio è l’Amore (1 Gv 4,8): Dio altro non è che Agape, cioè quell’Amore purissimo, oblativo, totale, di cui l’Eucarestia è sacramento.

“Immergere nel Nome” tutte le genti significa fare provare ai fratelli la tenerezza dell’Amore di Dio, fare loro gustare la sua dolcezza, coprirli in una dimensione di carità e di servizio, significa cioè farli sentire amati da Dio, essendo noi i tramiti e i mezzi per questa esperienza. Ecco perché la Chiesa è inviata al mondo a predicare la conversione cacciando i demoni e guarendo gli infermi (Mc 6,13).

Annunciatrice di Colui che è Amore (1 Gv 4,8), la Chiesa dovrà innanzitutto esserne testimonianza visibile: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Diamo al mondo questo segno? Ci riconoscono come Suoi dall’intensità d’amore che regna nella Chiesa, dal nostro lavarci i piedi gli uni gli altri (Gv 13,14), dall’accoglierci, dal perdonarci, dal renderci vicendevole onore, dal vivere tra noi quella carità che “è paziente, è benigna…, non è invidiosa…, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia…, che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,4-7)?

E allora si potrà iniziare la realizzazione del terzo participio del comando: “insegnando loro (didàskontes autoùs) ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”: l’aspetto catechetico della missione.

Lo scopo della missione della Chiesa è quindi introdurre tutti gli uomini nella dimensione eucaristica, cioè fare aderire a Cristo, far vivere l’esperienza di lui, fare innamorare di lui, della sua Persona e della sua Parola.

Scopo della missione è “fare discepoli”, è la definizione più sintetica e corretta dell’esistenza cristiana: il cristiano è un discepolo. Non si tratta di offrire un messaggio, ma di instaurare una relazione stretta e personale con Cristo: il discepolo si lega alla persona del maestro e si impegna a condividere il suo progetto di vita. I discepoli non insegnano qualcosa di proprio, ma solo “tutto ciò che egli ha comandato”.

La formula trinitaria è sorprendente. Il battesimo avveniva “nel nome del Signore Gesù” (At 2,38): ma è la formula che troveremo poi nella Didachè (VII,1), ed è particolarmente solenne e teologicamente riassuntiva.

La presenza del Signore risorto nella sua comunità

Il Vangelo termina come era cominciato. All’inizio ci fu annunziato il nome dell’Emmanuele, “Dio con noi”, come era stato annunziato dal profeta Isaia (Mt 1,23; Is 8,8.10). Ora ci si assicura che quella profezia è diventata realtà permanente: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). In altre parole, Gesù continua a essere l’Emmanuele, il Dio con noi.

Carlo Miglietta

Da: C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino