Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
La fecondità dello Spirito
Sullo sfondo di questa pagina del vangelo c’è il tempio di Gerusalemme, meta del pellegrinaggio di Gesù e di ogni pio Israelita. Avrebbe dovuto essere la «casa di preghiera per tutti i popoli», come aveva promesso Isaia, invece era diventato «un covo di ladri», come aveva denunciato già il profeta Geremia. L’insegnamento di Gesù spiega con le parole dei profeti il gesto della cacciata dei mercanti dal tempio che suscita l’irritazione delle autorità religiose e la loro determinazione ad ucciderlo. La scena centrale è racchiusa da altre due nella quali il protagonista è un albero di fichi, prima pieno di foglie ma senza frutti e poi seccato fin dalla radice.
Alla luce di ciò che è descritto nella scena centrale appare chiaro che il fico rappresenta il tempio, ma più in generale la religiosità ebraica poggiata sul culto del santuario di Gerusalemme. Nella fame di Gesù c’è il desiderio di Dio di gustare i frutti della giustizia operata dagli uomini e invece non trova altro che appariscenza senza contenuto, riti senza pietà, culto senza fede. La maledizione di Gesù non è una condanna, ma è la rivelazione di ciò che accade quando non si matura nella fede, si coltiva l’apparenza e la esteriorità, senza prendersi cura della propria vita spirituale. Come un corpo senza anima è morto e si corrompe, così la fede senza lo Spirito Santo che la vivifica e la rende feconda si condanna alla sterilità e a spegnersi.
Gesù si avvicina all’albero e cerca frutti pur sapendo che non è il tempo dei fichi. Questo potrebbe giustificare un probabile rimprovero rivolto a Dio con il quale ci lamentiamo perché sembra esigere da noi quello che mai saremmo in grado di dargli o più di quello che siamo capaci di offrirgli. In realtà non chiede a noi la preghiera come se fosse una tassa da pagare, ma desidera che essa sia esperienza intensa e vera di relazione d’amicizia e di amore con Lui grazie alla quale possiamo portare frutto di opere buone in ogni tempo. La preghiera non è un dovere da compiere ma un’esigenza dello Spirito che mi mette in sintonia con Dio per avvertire con Lui la fame e la sete di giustizia.
La preghiera fatta con fede è quella che crede perché desidera ardentemente che si compia la volontà di Dio. La parola di Dio non solo esprime la verità, ossia il volere di Dio, ma anche realizza quello che dice. Chi, conoscendo la volontà di Dio, prega perché essa si compia si mette a servizio del suo progetto d’amore e porta frutti di giustizia in ogni tempo, anche in quello della vecchiaia. Così si realizza la parola di Dio che dice: «anche nella vecchiaia porteranno frutti».
Signore Gesù, profeta di pace e di perdono, tu che hai rimproverato la tua generazione denunciando i danni della religiosità dell’apparenza, scuotimi con la tua parola, ribalta le mie convinzioni che mi rendono ipocritamente rigido e formale, purifica il mio cuore dall’ipocrisia e dalla schiavitù del consenso. Il tuo Spirito alimenti la mia fede perché la preghiera, come la tua, sia un’esperienza di filiale abbandono tra le braccia del Padre. Credo, Signore, che Tu mi ami e che mi accompagni nel mio cammino di maturazione perché, con la grazia dello Spirito Santo, possa portare in ogni tempo frutti di giustizia, amore e perdono.