Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 21 Maggio 2021

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Di primo acchito non è facile cogliere il senso profondo di un dialogo così, apparentemente ripetitivo. Quello che però può saltare subito all’occhio è che le prime due volte Gesù chiede a Pietro «mi ami?», mentre l’ultima «mi vuoi bene?». Come interpretare questo cambio di verbi? Il testo originale greco ci viene in aiuto.

La prima richiesta di Gesù è alta, esigente: chiede a Pietro se lo ama, se prova agape nei suoi confronti, ossia se è disposto a donargli tutto sé stesso in un amore disinteressato e incondizionato. Pietro non vuole straparlare di nuovo, ha ancora stampata in mente l’umiliazione di quella volta in cui, prima di cadere, aveva promesso: «se anche tutti dovessero abbandonarti, io non ti abbandonerò»; ora è già caduto, ha imparato la lezione, e in tutta modestia risponde «tu sai che ti voglio bene». Non ho quell’agape così puro di cui mi chiedi, ma ho filìa, un voler bene tutto umano che provo per te, questo sì.

Ma Gesù, dopo avergli affidato per la prima volta il gregge, insiste, chiede a Pietro un salto di qualità: «mi ami?», hai agape per me? Sei disposto a liberarti del tuo io per seguirmi? Ma Pietro conosce i suoi limiti, e ribadisce con umiltà: «Signore, sai che ti voglio bene», conosci la mia filia per te, ma più di questo non posso garantire.

Allora il Signore spariglia le carte, rinuncia all’amore divino che gli compete e gli spetterebbe e si riduce a chiedere una filia imperfetta e tutta umana: «mi vuoi bene?». Questa domanda così semplice e umile commuove Pietro, e il «sì» stavolta è fra i singhiozzi, perché capisce che il Signore quella terza volta è sceso al suo livello per abbracciarlo in tutta la sua debolezza. Questa terza volta il Signore non ha chiesto ancora agape, ma si è accontentato della nostra filia, del nostro provarci. Pietro piange perché nella semplicità di quella domanda ha sperimentato che lui va bene così, anche nella sua incapacità di amare il Signore come vorrebbe; che proprio in questa sua incapacità il Signore lo accoglie, lo accetta e lo mette a capo delle sue pecore.

Anche noi oggi possiamo sperimentare la possibilità di essere chiamati e di servire con tutte le nostre debolezze, con tutti quegli egoismi di cui non riusciamo a liberarci, senza la pretesa di stringere fra le mani un Vangelo che come una bacchetta magica risolva tutti i nostri problemi e faccia di noi dei “supereroi” dell’amore. Ripartiamo da questa relazione, dal bene che c’è, e fidiamoci: il resto verrà da sé.

Comunità Centro Poggeschi


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato