Come per la Risurrezione, anche per l’Ascensione vi è un già e un non ancora, proprio perché è uno dei misteri più legati alla Santa Pasqua cristiana, dove ai fedeli viene ripetuto che la storia non è più il limitato orizzonte del destino di Gesù, in quanto Figlio del nostro Creatore, con un futuro che va ben oltre, va presso il Padre.
Allora, protendere alla gloria che in Gesù ci viene annunciata, non è un esimersi dal viaggio nel tempo sulle orme del Salvatore. Se la contemplazione di Gesù che sale al cielo esprime il punto di riferimento di ogni credente, è anche la riscoperta di come la propria esistenza sia un percorso di fede, in quanto l’ascendere con il Maestro è una meta: la meta della nostra storia quotidiana che è basata sul costruire attraverso la libertà e il destino che il Signore ci ha donato sin dal grembo materno. Ecco che, allora, Gesù, ascendendo al cielo per compiere il progetto del Padre, ci lascia il Suo Spirito, ci lascia la Sua Parola, ci lascia la Sua Comunità affinché rimaniamo capaci di amare, impariamo che cos’è l’amore autentico, affinché non abbiamo ad addormentarci, a smarrirci, a perdere la speranza, il tracciato per raggiungere la meta. Da ultimo, ma non meno importante, Gesù lascia nella nostra casa Sua Madre, affinché abbiamo un esempio realizzato e possibile di come si entra nella storia della salvezza, di come ci si educa alle cose di Dio, in che cosa consista fedeltà sotto la Croce, invocando lo Spirito per diventare testimoni e missionari della Fede.
Ora, dal punto di vista teologico lo splendore dell’Ascensione sta nella celebrazione di una Presenza-Assenza perfetta ed eterna, nella quale il disegno del Padre raggiunge il suo fine, e l’incarnazione del Verbo ce ne rivela la ragione. Inoltre, consideriamo il fatto importante che nell’Ascensione Gesù sembra essere sulla riva opposta alla nostra; ossia, quella dell’eternità, dell’infinito, pertanto è irraggiungibile proprio perché non è possibile gettare ponti tra la nostra e la riva del Risorto. Eppure, una soluzione è possibile.
E qual è?
È quella dell’itinerario che si compie ora nella fede e che un giorno, al nostro passaggio all’altra Vita, si attuerà nella visione diretta. Sarà, infatti, Gesù stesso a venirci incontro, a prenderci per mano per esprimere l’esperienza della Salvezza, per impedire che la nostra esistenza affondi nel gorgo del nulla.
Allora, il Figlio si mostrerà a faccia a faccia come nell’episodio evangelico del Risorto che cammina sulle acque e va incontro all’apostolo Pietro che anch’esso prova a camminare sulle medesime, ma poi affonda per la sua fragilità, la poca fede; così noi tenteremo di avviarci verso il mistero che sta aldilà delle nostre sponde terrene.
Affidiamo, dunque, a Maria regina degli apostoli il nostro apostolato; dei profeti il ministero della profezia; dei pastori la nostra pastorale, l’insegnamento delle famiglie e della scuola, e riprendiamo il tragitto verso la perfezione del nostro Dio che per amore nostro si manifesta nelle nostre imperfezioni, assumendole: la finitudine del patire, la debolezza della povertà, la fatica e l’oscurità del futuro, sono gli spazi in cui Egli espone il Suo amore perfetto sino al compimento totale del dono. È in queste imperfezioni, in questa umiltà divina che riecheggia il grido che sigilla l’evento della croce, della risurrezione, dell’ascensione: «Tutto è compiuto!».