Quando muore una persona si è soliti parlare di lutto. La parola viene dal latino luctus derivato da lugere che significa pianto. Fa riferimento alla manifestazione di sofferenza per la persona defunta.
Ho imparato, con l’esperienza, che la mancanza della persona cara defunta rimane, ma la sofferenza si trasforma. Cosa è che la fa trasformare? Forse concorrono tanti fattori (il tempo, le relazioni, i doveri della vita, soprattutto nei confronti delle persone che rimangono in vita…) ma penso che il contributo più importante sia dovuto al quel processo interiore, che è importante avviare, per imparare a relazionarci con la persona defunta in una maniera nuova, diversa.
Penso, allora, che il lutto possa essere inteso con quel tempo necessario per creare il legame in maniera diversa.
Ognuno creativamente impara a relazionarsi in maniera diversa con i cari defunti. Forse non tutte le forme di relazione con i defunti, alla fine, sono sane, ma non voglio soffermarmi su questo.
Quello che mi colpisce del vangelo di oggi è che Gesù sta preparando i discepoli al lutto. Letteralmente, infatti, la traduzione non è: “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete”. Nell’originale greco, i verbi tradotti in italiano con “vedere” non sono gli stessi.
Letteralmente possiamo rendere così: “Un poco ancora e non mi vedrete con gli occhi, un poco ancora e mi vedrete in maniera più profonda, più intima”.
Insomma… ciò che si ama può anche essere invisibile agli occhi, perché lo senti col cuore, con la mente, con il corpo… con tutto te stesso.
Di fatto… noi Gesù non lo abbiamo mai visto e incontrato fisicamente ma lo conosciamo profondamente perché ne abbiamo fatto esperienza.
Una cosa è incontrare una persona… tutt’altra cosa è farne esperienza. Non ti fermare mai alla superficie.
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AUTORE: Don Antonio Mancuso PAGINA FACEBOOK
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