AUTORE: Cristina Pettinari
FONTE: Omelie.org
SITO WEB: https://www.omelie.org
Cari bambini e ragazzi, ben trovati.
Anche quest’anno la scuola è quasi finita e questo è il tempo in cui si guarda al periodo trascorso da settembre e ci si chiede se abbiamo impiegato le nostre energie nel modo giusto o se abbiamo perso qualche buona occasione per migliorarci. Come facciamo a capire se abbiamo agito per il meglio?
Facile: basta osservare i traguardi raggiunti. Per esempio, se abbiamo speso bene l’anno scolastico, i voti di fine anno saranno ottimi! Insomma, da settembre ad oggi abbiamo seminato, ed ora è giunto il tempo di raccogliere i frutti del nostro lavoro.
Tenete a mente questa parola “frutti” perché è la password per capire le letture di oggi.
Immaginiamo una vigna, o un uliveto o un frutteto: per i contadini è fondamentale che le piante portino frutto. I frutti infatti sono il loro sostentamento: non solo perché li mangiano ma perché possono anche venderli. La qualità e la quantità dei frutti sono di vitale importanza per loro.
La stessa cosa è per il cristiano, quando si tratta della relazione con Dio: la nostra vita “dovrebbe” dipendere dall’Amore di Dio e dal nostre legame con Esso. Ho usato il condizionale perché molto spesso ci lasciamo prendere dalle fatiche di tutti i giorni e pensiamo che per stare bene e per meritarci la stima altrui, dobbiamo produrre continuamente risultati che ci costano grandi fatiche e rinunce. Invece Pietro, nella Prima Lettura, con poche parole, spezza questa dinamica stressante tipica dell’essere umano: Dio è gratuito, ci vuole amare completamente e gratuitamente. Non vuole che noi gli diamo qualcosa in cambio: l’Amore di Dio non si deve né meritare né guadagnare. Si deve solo accogliere. Ma come facciamo a capire quanto Dio ci ama? È un Amore talmente enorme che spiegarlo con semplici parole sarebbe impossibile. Vorrei però provare a svelarvelo usando l’immagine del crocefisso: quando Gesù sta sulla croce, ha le braccia aperte, come un bambino che dice “ti voglio tanto bene! Così!”. In questa posizione, le mani non si toccano mai, ma una punta a destra e l’altra a sinistra, senza avere un limite o un punto di arrivo. Dunque è così l’Amore di Dio: infinito!
Giunti a questo punto però si pone un problema: rischiamo di confondere il cristianesimo con una sorta di romanticismo che poco ha a che fare con la vita di ogni giorno. Giovanni, nella Seconda Lettura, scardina anche questo dubbio: l’Amore di Dio è concreto come è concreta una persona. L’Amore di Dio è concreto come un Padre che dona il Suo Figlio per salvare gli uomini. L’Amore di Dio è concreto come la carne e le ossa.
Nel Vangelo poi, quest’Amore diventa dinamico, cioè si muove. Non rimane fermo all’uomo, ma la persona che lo accoglie, poi inizia ad amare gli altri uomini in quello stesso modo. E qui troviamo la parola “frutto”. Quest’Amore, non solo può cambiare la vita del singolo che lo riceve, non solo cambia le relazioni tra le persone, ma porta frutto, cioè rimane nel tempo e arriva anche a chi viene dopo di noi e ci dona un’esistenza veramente felice, senza che noi facciamo particolari sforzi.
Nel Vangelo è presente un’altra parola che ci indica la strada giusta affinché l’Amore porti frutto. È un verbo: “rimanere”. Rimanere significa stare fermi in un posto. A volte è difficilissimo: quando ci capita qualcosa che non capiamo e ce la prendiamo con Dio, il primo istinto è allontanarci da Lui perché pensiamo che non è buono, o non ha fatto le cose giuste o che non esiste. Quando litighiamo con qualcuno, amarlo diventa praticamente impossibile e allora ci allontaniamo da questa persona, impedendo così all’Amore di portare frutto. Ma cosa significa rimanere con Dio e nella Chiesa, quando tutto ci dice di lasciare stare? Facciamo un esempio: se a scuola abbiamo problemi in matematica, se lasciamo stare, migliorare diventerà impossibile. Invece, per recuperare, dobbiamo rimanere alla scrivania, dobbiamo impegnarci più degli altri e dobbiamo chiedere a qualcuno di aiutarci. La stessa cosa vale con la relazione con Dio: è proprio quando tutto sembra essere inutile che dobbiamo rimanere nella Chiesa e in Dio e magari chiedere a qualcuno un sostegno per non fuggire.
È rimanendo, stando fermi, dando tempo a Dio di agire, che possiamo scoprire quanto possa essere miracoloso il Suo Amore. Così grande, che non solo può curare le nostre ferite, ma ci permette di amare anche chi proprio non sopportiamo. Amare i propri nemici è il frutto dell’Amore, la straordinaria novità del cristianesimo, la vera “gioia piena”.
Con questo augurio vi saluto: di vivere la pienezza tipica del cristianesimo che ci permette di vivere senza l’insoddisfazione dovuta alla mancanza di un oggetto, o di una realizzazione, che durerà solo il tempo di uno schiocco di dita. Ma vivere con la certezza più grande di tutte: l’Amore di Dio.