don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 9 Maggio 2021

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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6a Domenica di Pasqua

Può l’amore essere comandato?

Gv 15, 9-17

Gesù rivela il cammino dell’amore, che discende dal cuore del Padre come una cascata d’acqua viva, investe e irrora il Figlio, il quale estende il dono agli uomini. La Trinità si comunica gratuitamente per dare gioia alla creatura amata e renderla capace di produrre un frutto che rimanga. «Rimanete nel mio amore»: è questo il compito dei destinatari del dono; «osserverete i miei comandamenti» è poi l’unico modo per realizzare tale compito. Quando leggiamo simili parole siamo tentati di pensare: ecco l’inganno, l’amore poteva essere così semplice e a portata di mano, e invece si parla di comandi, regole, imposizioni. Ma può l’amore seguire delle norme? Non abbiamo sempre detto che deve essere spontaneo, che deve essere lasciato libero altrimenti non è amore? Tuttavia Gesù rivela una grande verità. Me ne accorgo semplicemente orientando lo sguardo sulla mia vita, sulle relazioni d’amore che la costituiscono. Ci sono delle regole non scritte che tutti conosciamo. Quando qualcuno le disattende reagiamo con frasi del tipo: ‘Non mi ami, non ti importa nulla di me, altrimenti non ti comporteresti così’. E infatti chi può dire di essere un buon amico se non passa del tempo ad ascoltare l’altro, se non accetta l’invito a mangiare qualcosa insieme, se non è presente nei momenti belli come in quelli faticosi, se, in definitiva, non condivide la sua vita con quella dell’altro? Chi può dire di amare una persona se non ricorda gli anniversari, se non ha il desiderio di vederla, di conoscerla, se non la chiama solo per sentire la sua voce, se non la mette al centro dei pensieri e delle attenzioni, se non le dona la parte migliore di sé e impara ad amare la parte peggiore di lei? Sguardi, parole e piccoli gesti non sono delle opzioni ma dei veri e propri comandamenti sottintesi che muovono le relazioni e le rendono sane, vere, belle, tanto che quando vengono a mancare ne risente il rapporto, si diventa sempre più estranei e si finisce con l’allontanarsi per sempre.

È vero che l’amore che Gesù ci chiede conosce delle vette altissime le quali, anche per chi non soffre di vertigini, non sono facili da raggiungere, come ad esempio il perdono del nemico. Quale dunque la strada per arrivare ad una qualità d’amore così elevata? Oltre alla via delle piccole regole non scritte, per poter rimanere nell’amore è necessario contemplare la relazione di Gesù col Padre: «Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore». L’ha fatto Lui e, innestati in Lui come tralci alla vite, potremo esprimere una fedeltà all’amore che, anche se non è paragonabile a quella di Cristo, da essa trae ispirazione e forma. Contemplare l’amore trinitario per riprodurlo nella vita non significa dichiarare in maniera scontata il primato della contemplazione sull’azione, perché non è detto che immergersi con la preghiera nelle cose dello Spirito metta al riparo dalla forza travolgente della carne. Capita di sentire infatti di gente eccelsa nella vita spirituale e nella predicazione, che poi si è abbandonata alle passioni sensibili, suscitando scandalo e amarezza nel popolo di Dio. Per rimanere nell’amore occorre piuttosto la perfetta continuità tra contemplazione e azione, in quanto la prima ispira la seconda, ma anche la pratica dell’amore non fa altro che alimentare la fiamma d’amore dell’orazione, rendendola sempre viva e vivificante.

Il frutto della permanenza nell’amore e nei suoi comandamenti è la gioia. Il vangelo di Giovanni presenta questo tema in 3,29, quando il Battista si definisce l’amico che «esulta di gioia alla voce dello sposo»; in 14,28, in cui il motivo della gioia è il ritorno di Gesù al Padre; in 17,13, ove le parole di Cristo hanno come fine la nostra gioia. In una visione d’insieme, sembra proprio che il Padre, attraverso Gesù, non abbia altro desiderio che donare ai suoi figli una gioia perfettamente compiuta. Amarsi gli uni gli altri fino a dare la vita è contemporaneamente la via della gioia autentica e il contenuto del comando di amare. L’amore presenta una ininterrotta circolarità che dall’origine ci conduce al fine, al volto dei fratelli, in cui è impressa l’immagine originale di Dio. Solo chi è amico di Cristo può comprendere ed entrare in questa logica, che ti permette di non essere più considerato servo, ma suo intimo. Nella Bibbia il termine servo non è dispregiativo ma richiama un rapporto di collaborazione col disegno di Dio, per il quale l’atto del dare, prima ancora di ricevere, diventa la caratteristica del discepolo che si lascia riempire dall’amore del Maestro.