Alcune delle disposizioni date a Mosè, come quelle riguardanti gli schiavi, ci possono sembrare assurde. Si dice che gli schiavi sono proprietà del padrone. Eppure, anche in quel caso, è previsto che al settimo anno tornino in libertà. Si pongono dei limiti all’arbitrio incondizionato. Ad esempio la difesa contro uno scassinatore diventa legittima solamente di notte e di notte è anche fatto obbligo di restituire il mantello all’indebitato che ce lo avesse affidato in pegno. E non sarà possibile chiedere somme a interessi.
Poi, nel caso, la schiavitù non può durare più di sei anni. E inoltre si ribadiscono norme di giustizia, all’insegna della responsabilità del colpevole, della proporzionalità della pena, della giustizia che va garantita alla parte più debole, a partire dall’orfano, dalla vedova, dallo straniero che non va né sfruttato né oppresso: tutti gridano l’aiuto del Signore. Il popolo è chiamato a fare memoria della propria schiavitù in terra d’Egitto per mettersi nei panni di chi non fosse libero e consentire anche ad essi la liberazione.
Persino un avversario va aiutato, quando gli dovesse cadere il proprio asino: sempre al nemico vanno ricondotti gli animali che avesse perso. Inoltre «non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo così da stare con la maggioranza, per ledere il diritto»: vivere la verità può – e anzi deve – costare parole profetiche, posizioni controcorrente, scelte che confliggono con quelle di una maggioranza omertosa, corrotta o abbindolata dalla retorica – rancorosa o, al contrario, sdolcinata – dei potenti.
Che cosa significa per te giustizia?
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A cura di Piotr Zygulski