Oggi celebriamo la memoria di Filippo e Giacomo, apostoli del Signore. Sono tra coloro che Gesù ha scelto perché “stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14): inviati nel suo nome a offrire con gesti e parole una presenza di cura e di accoglienza sull’esempio del loro Maestro. “Nel mio nome” è un’espressione che ricorre per due volte nel nostro brano e indica l’intimità di un legame tra Gesù e i dodici approfonditosi nel tempo, attraverso una vicenda di vita e una missione condivisa durante il ministero pubblico di Gesù.
Il nome in senso biblico designa l’identità della persona e al tempo stesso ne suggerisce la vocazione. Gesù ha introdotto poco per volta i discepoli nel mistero della sua identità di Figlio inviato dal Padre; a volte lo ha fatto con espressioni che suonano lapidarie e che è bene ricordare sono anche il frutto della comprensione che le prime comunità cristiane hanno avuto di lui alla luce del mistero pasquale. Qui egli afferma di sé che è “la via, la verità, la vita” (v. 6).
Gesù è la via che ci conduce al Padre: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (v. 6); se conosciamo qualcosa di Dio, se riusciamo a contemplarne i tratti del volto, è perché Gesù ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore.
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Gesù è la via che ci porta alla vita e questa – non dimentichiamolo – è la via dell’umiltà e dell’amore che si abbassa per essere al servizio di tutti. La “via” ci rimanda a un cammino da intraprendere ogni giorno in ascolto della Parola che ci interpella, per fare un passo in più verso la verità e la vita. Gesù è la via perché ci ha offerto una possibilità di esistenza in cui realizzare pienamente e in verità la nostra umanità nel dono di sé agli altri. Per Gesù la verità non è qualcosa di diverso dal cammino, e il cammino non è separabile dalla vita.
Anche in noi abita la domanda che Filippo ha rivolto a Gesù: “Mostraci il Padre!” (v. 8). Gesù ci ha rivelato il Padre attraverso il suo modo di essere e di vivere, ma questa rivelazione può prestarsi a fraintendimento e incomprensione da parte dei discepoli, che egli fa emergere con un sottile rimprovero: “Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (v. 8). Nonostante anni di vicinanza e di condivisione di vita, possiamo giungere a non conoscere molto dell’altro che ci vive accanto.
C’è conoscere e conoscere, e la conoscenza che riguarda Gesù implica fiducia e coinvolgimento: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?… almeno credetelo per le opere stesse” (vv. 10-11), per quanto compio in mezzo a voi. Gesù è credibile perché è tutt’uno in quello che crede, dice e fa; è la credibilità dell’amore che si rende visibile in una pratica di vita.
Conoscere e credere quasi si sovrappongono nel quarto vangelo. La conoscenza del Signore – la conoscenza di chi vive accanto a noi – cresce nella misura in cui amiamo e ci affidiamo, accettando di lasciarci raggiungere a nostra volta in ciò che siamo veramente. L’adesione profonda al Signore ci fa superare ogni paura e fa abitare in noi la forza di Dio: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste” (v. 12), e si esprime nella preghiera fatta nel suo nome.
fratel Salvatore
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