Bellissimo amatissimo passo che rivela la relazione che lega Gesù al credente e che tramite Gesù il credente è immesso direttamente nell’amore del Padre.
La metafora della vite e dei tralci rende l’idea di comunione profonda che il fedele deve avere col Signore, senza la quale la vera vita non è possibile.
“Senza di me non potete fare nulla” non deve spaventarci, lo stesso aveva detto di sé Gesù in rapporto al Padre (5, 19.30), confermando che la vita che unisce il Padre col Figlio è la stessa che unisce noi col Figlio, che diventiamo figli e fratelli in Cristo. Non devono suscitare paura nemmeno i verbi tagliare e potare, mutuati dalla vita agricola, come ognuno sa, per far crescere più rigogliosa la pianta. A dissipare ogni dubbio, il v. 3 ci fa comprendere che l’azione di pota/purificazione avviene attraverso la Parola.
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È col dono della Parola che il Signore ci offre la sua stessa vita, con la mitezza di un messaggio, col soffio di un sussurro, senza prepotenza, senza imposizioni. Rispettoso della nostra libertà viene a chiamarci e a donarci la salvezza, secondo il verso dell’Apocalisse “Ecco, io sto alla porta e busso” (Ap 3,20). Il Signore ci invita a percorrere le sue strade, ci indica la “via” (14,6), non si sostituisce alle nostre scelte, interpella la nostra fede. Ma non solo. Il verbo “rimanere” implica una fedeltà radicale, non un’adesione infuocata che si spegne rapidamente o un consenso momentaneo, al contrario esso comporta una decisione rinnovata giorno per giorno, stabile; “rimanere” significa abitare, costruire relazioni, avere confidenza, accudire, in una parola: amare.
Dalla fede all’amore: accogliere la Parola significa amare come Gesù ha amato.
Restare in Cristo, ricevere la linfa come i tralci, vuol dire essere al servizio del fratello, come Gesù ha mostrato nella lavanda dei piedi (13, 1-20).
È l’amore il frutto richiesto al discepolo, è il servizio reciproco il modo in cui esplicare l’ascolto della Parola. Poco prima, infatti, Gesù aveva affermato: se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (14,23).
La relazione tra Gesù e il discepolo è un dono e una responsabilità: è un dono perché solo rimanendo in Cristo si porta frutto; è una responsabilità perché rimanere in Cristo deve realizzarsi nel portare frutto (Jean Zumstein).
Accogliere la Parola significa fare spazio, svuotarsi, “potare” perché l’amore di Cristo cresca in noi e possiamo vivere in unione e armonia con l’altro.
Se domenica scorsa la metafora del pastore descriveva un’immagine di sequela, il brano di oggi narra di un’intimità profonda, della partecipazione alla stessa vita divina, del dono della vita in pienezza. In Cristo siamo generati a nuova vita accogliendo la sua Parola e quindi aprendoci all’amore verso il prossimo.
Commento a cura di Monica – Comunità Kairos
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay