AUTORE: Paolo di Martino FONTE: Sito web SITO WEB CANALE YOUTUBE PAGINA FACEBOOK
Questa Domenica Dio si racconta con le parole essenziali del lavoro, della vita.
La vite, descritta in una celebra pagina del profeta Ezechiele, non ha nessun pregio.
Con il suo legno non si può fare nulla, è utile solo per far passare la linfa ai tralci.
E’ un legno che può solo portare frutto.
C’è una novità però rispetto all’Antico Testamento. Dio era il padrone della vigna, totalmente altro rispetto alle viti. Gesù esordisce con la prima bella notizia: “Io sono la vite, voi siete i tralci”. Facciamo parte della stessa pianta come la goccia fa parte dell’oceano.
E “ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto” (letteralmente sarebbe “purificare” non “potare” altrimenti non si comprende pienamente il gioco di parole che Giovanni fa tra il verbo “purificare” e l’aggettivo “puri”). Dio non taglia, ma purifica!
C’è differenza tra tagliare e potare a anche se esteriormente sembrano uguali.
Tagliare ha un valore di pulizia, per alleggerire l’albero da un peso inutile.
Potare ha valore di fecondità, è per portare più frutto. Questo gesto che provoca una “lacrima” della linfa è necessario. Le potature sono necessarie.
Anche la nostra vita spesso subisce dei tagli (sofferenze ma anche gioie). La domanda da porci è: quale maledizione o benedizione portano nella nostra vita?
Alcuni tagli ci distruggono, altri tirano fuori il meglio da noi.
Il Signore ci invita a vivere le potature della vita come possibilità di fecondità.
Gesù sta dicendo: “Io sono il sapore della vita, il gusto della vita. Non ho bisogno di sacrifici o penitenze ma di uva buona, ho bisogno che tu fiorisca. Nes¬suna vite che soffre porta buon frutto”.
Dio vuole innanzitutto che io sia felice, sano, gioioso.
La vita dev’essere bella, gustosa altrimenti è insopportabile. Siamo circondati da troppe facce da funerale, da venerdì santo. Giovanni ci ricorda di gioire di essere al mondo e che la vita dev’essere come bere un bicchiere di vino.
A volte mi domando perché le persone non si permettono di essere felici. Certo, in alcune situazioni non c’è niente da gioire, ma credo che spesso non è la felicità che ci manca ma la capacità di gustarla. Il vino c’è ma scegliamo di non berlo. Perché?
Perché, innanzitutto, bisogna essere vivi dentro per essere felici.
E poi credo che molti siano convinti che Dio sia contro il piacere.
Un tempo si stimava “molto cristiano” l’essere seri, tristi, addolorati. Eppure il Signore non si è mai distinto per la rinuncia alla vita. Anzi… I suoi discepoli erano gli unici che non digiunavano, che mangiavano anche di sabato! (lo accuseranno di essere “un mangione e un beone”).
Amici, quando siamo felici…siamo felici! Se sei felice…sii felice!
Il Signore è per una vita che sia piacere, gusto, sapore.
Il piacere è il luogo dove posso sperimentare il gusto di Dio, il Suo amore.
Il problema è che noi confondiamo la felicità frutto di emozioni profonde e lo stato di ebbrezza prodotto dallo stordirsi con qualche “surrogato” di felicità.
Mi colpiscono le parole dure di Gesù: “senza di me non potete fare nulla”. Non dice che riusciremo a fare qualcosa, ma che non faremo proprio nulla.
In fondo, a pensarci bene, ha ragione: possiamo correre avanti e indietro tutto il giorno, avere mille impegni, fare mille cose anche per gli altri, ma se tutto questo è fatto senza di Lui, è insignificante, sterile.
Gesù poi sussurra ai discepoli parole dolci come il miele: “Rimanete in me e io in voi”.
Quanta tenerezza in quest’espressione. “Poggiate il capo sulle mie spalle, stringete forte la mia mano per riacquistare lo stupore negli occhi!”.
Amici, il problema è che la nostra vita è senza stupori, senza brividi.
La nostra vita spesso scorre senza più attendere nulla, come sabbia sulla clessidra.
In giro c’è un deficit di passione, di entusiasmo. Insomma, il Signore della vita ci inviata a recuperare la vita perché questa non è vita!
“Rimanere” è un verbo caro al Signore. In poche righe è ripetuto sei volte.
Questa Sua insistenza mi piace, perché mette in crisi la nostra presunta autonomia di cui spesso ci vantiamo e che ci porta quasi sempre a sbattere il naso con delusioni e fallimenti.
Gesù oggi ce lo ricorda senza girarci attorno: da soli non possiamo conquistarci la felicità della vita, non siamo noi l’origine della nostra gioia, non bastiamo a noi stessi.
Se stiamo affogando non possiamo pretendere di salvarci tirandoci su per i capelli…
Solo Lui può saziare i desideri insaziabili della nostra vita.
L’intimità con Lui è il luogo più vero della nostra persona.
Ci vuole coraggio per lasciarci amare, per lasciare a lui il timone della barca della nostra vita.
Richiede di fidarci, di abbandonare le nostre difese, di mettersi nudi nelle Sue mani e soprattutto di non sentirci mai arrivati, mai a posto.
La vita è un cammino, per cui si diventa discepoli poca alla volta, per gradi, giorno per giorno, con la voglia di portare in famiglia, al lavoro, nella scuola, la bella notizia del Vangelo.
Amici, senza di Lui siamo tralci secchi.
Abbiamo davvero bisogno di essere potati dalle sue mani esperte per andare all’essenziale.
Sono certo che scopriremo in noi una fecondità che mai avremmo immaginato.
A questo punto sorge spontanea la domanda: come avviene questo?
E’ Gesù stesso che chiarisce le idee: custodendo, meditando e pregando la Parola.
Per restare innestati a Lui dobbiamo accogliere la Parola, ogni giorno, ogni domenica, come si accoglie una linfa vitale.
Ancora una volta siamo invitati a leggere, studiare, meditare e pregare la Bibbia che contiene la Parola di Dio.
La bella notizia di questa Domenica? Dio crede nella sua pianta ed è disposto a tutto per lei. Se ci abbandoneremo alla Sua Parola, avremo un’abbondante vendemmia dello Spirito!
Fonte: il blog di Paolo de Martino