Come avviene solitamente nelle pagine di Vangelo secondo l’apostolo Giovanni, ci troviamo a meditare parole di straordinaria bellezza, le quali si radicano profondamente nel tessuto della nostra Comunità e innalzano la nostra fede, la nostra ragione, il nostro spirito, la nostra autocoscienza a delle alture che sono molto aldilà delle sole evidenze che possiamo notare.
La conversazione di Gesù, dopo essersi presentato come la porta dell’ovile, è peraltro molto semplice e chiara. Egli, ricorrendo a una comparazione che a noi non è più familiare, ma che non è incomprensibile, dichiara che è venuto in mezzo a noi per guidarci, e ci annuncia anche fin dove ci condurrà: in quei luoghi di eterna Vita dove siamo attesi, e che l’attuale vita non ci fa neppure immaginare. L’apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani, afferma che «le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi».
Adottando questa comparazione così intuitiva, Gesù, in verità, si è posto su un terreno rischioso dal punto di vista della storia umana, perché si è presentato come Colui che guida, quindi chiede fiducia; per cui il fedele, dinanzi a questa proposta, ed essendo istruito dalle esperienze umane, ha il dovere morale di assumere un atteggiamento oculato. Peraltro, Gesù va scelto come il Pastore, va scelto con tutto il cuore, ma anche con tutta la nostra sapienza, intelligenza e scienza.
Gesù, dunque, si è posto su questo terreno molto rischioso perché era certo di poter avanzare tale pretesa: «Io sono il buon pastore»; affermazione che si può leggere più incisivamente, senza forzare il testo: «Io sono il pastore buono e bello», riassumendo in sé l’immagine di tutti i pastori e i profeti, donati da Dio al suo popolo, ma anche l’immagine di Dio stesso, invocato e lodato nel Salmo 80, come «Pastore di Israele».
Quindi, Gesù ha affrontato l’opinione della gente che, allora come ora, era molto attenta a queste proposte di “leadership”; e l’ha fatto con estrema sicurezza e semplicità, presentandosi come quelli ai quali oggi noi diamo il nome di “guide carismatiche”, non avendo cioè nessuna carta in regola per essere il “leader”: era considerato un uomo come gli altri, era un carpentiere.
Però, i suoi discepoli hanno percepito quale grandezza era in Lui e che, a poco a poco, da Lui si sprigionava e – senza nessuna autorità costituita – s’imponeva. Pertanto hanno riconosciuto in questo personaggio un traboccare di autorevolezza, di credibilità che non aveva la minima raccomandazione: Gesù non era legittimato da nessuno, anzi, i legittimi poteri molto presto lo hanno sconfessato.
Ricco soltanto della sua grandezza, povero di tutto il resto, questo pastore dell’umanità ha convinto, appunto, per com’era, per la sua affidabilità: sì, così affidabile che non ha promesso benessere, ma ha offerto la propria vita su una croce.
Questo gesto è veramente unico, e non si tratta più di parole, ma di perdere la vita: il suo è un dono fatto nella libertà e per amore, un dono di cui egli è stato consapevole lungo tutta la sua vita, dicendo ogni giorno il suo “sì” all’Amore.
In conclusione, possiamo professare che Gesù è il pastore santo, buono e bello, che ha occhi molto grandi per raggiungere tutti noi fedeli, ovunque ci troviamo. E da questi occhi noi ci sentiamo protetti e scortati da una guida innamoratissima del suo gregge, che sente nelle sue carni gli artigli delle fiere, che sorveglia silenziosamente da lontano i dirupi, le frane e i cespugli erbacei del bosco, in quanto ogni pecora all’interno o all’esterno dell’ovile, è importante, anzi molto cara; per cui per il Signore non vi è la massa, bensì la conoscenza personale; tant’è che per il nostro Creatore esistiamo uno ad uno ed è l’uno che conta infinitamente, come dice un’altra parabola pastorale dell’evangelista Luca: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?».
Un po’ come accade per i genitori di tanti figli: tutti i figli messi insieme non potranno mai colmare la perdita di quell’unico figlio che se n’è andato via; nessun altro figlio potrà mai compensare la profondità di quel vuoto, di quella vita scomparsa.